Accoglienza e salvezza per trenta ebrei napoletani a Tora e Piccilli

La fondazione della Società Calcio Napoli si deve nel 1926 a Giorgio Ascarelli, imprenditore ebreo, morto nel 1930 a 35 anni, tra i fondatori del Real Circolo Canottieri Italia. Alla fondazione la società calcistica del Napoli si fregiava del titolo di A.C. Napoli e nel 1927 Giorgio Ascarelli sarebbe stato il primo presidente.
Pertanto, quando Dario e Franco Ascarelli, giovani ebrei napoletani, il 26 settembre 1942, arrivarono a Tora e Piccilli, piccolo centro dell’Alto Casertano, tra coloro ” precettati” per il servizio nei campi, richiesto dal podestà di Tora, quel cognome era conosciuto dalla popolazione locale.
Il podestà di Tora e Piccilli, che all’epoca contava 1700 abitanti, di cui la maggior parte semplici contadini, aveva inoltrato domanda, già un anno prima, per ottenere braccia giovanili da destinare ai lavori agricoli nei campi, lasciati in gran parte incolti, dato che i giovani erano sui fronti di guerra. Ciò rientrava nel quadro più ampio delle “ Disposizioni sul lavoro coatto” del 6 maggio 1942, con prefettura e questura di Napoli che avevano schedato gli ebrei dai 18 ai 55 anni, che potevano dedicarsi al lavoro manuale. Con lettera del Consiglio provinciale delle corporazioni di Napoli, inviata in data 19 settembre 1942, fu disposta la precettazione ai lavori di manovalanza agricola nel comune di Tora e Piccilli per Pacifici Loris di Ruggiero, Tagliacozzo Vittorio di Giuseppe, Amariglio Massimo di Samuele, Modiano Guido di Isacco, Coen Michele fu Gino, Coen Oscar fu Gino, Franco Davide di Giacomo, Franco Mario di Giacomo, Franco Giorgio di Giacomo, Pinto Luciano fu Enrico, Coen Alessandro fu Gino, Morpurgo Ezio fu Edgardo, Lattes Renato di Alessandro, Ascarelli Dario di Alfredo, Ascarelli Franco di Francesco, Cavalieri Alberto fu Marcello, Campagnano Massimo fu Averardo, Campagnano Marcello fu Averardo, Cantoni Guidi di Arrigo, Gabal Jossua di Nissim, Voghera Augusto di Armando, Fischerman Boris Benedetto di Leone, Levi Walter fu Gino, Tagliacozzo Alberto di Arturo, Sinigallia Aldo di Tommaso, Cavalieri Emanuele fu Marcello, Sacerdoti Renato di Guido, Levi Salvatore di Kaim, Cittone Gedidia Mandolino di Giuseppe e Sacerdoti Enrico di Guido.
Ad alcune di tali persone, che avevano lasciato affetti e contatti di lavoro a Napoli, era consentito nel fine settimana di raggiungere la città. Un sabato del marzo 1943, Augusto Voghera incontrò in città un suo correligionario, Raoul Gallichi e gli spiegò perché si trovava a Tora. Per Raoul e sua moglie Gina fu come un segno del destino. La parola Tora era consonante nella grafia e nella pronuncia con Toràh, la “ loro parola chiave di luce religiosa, il codice di identità e di appartenenza”, come scrive Piero Antonio Toma.
In pochi giorni Raoul Gallichi si decise a partire per Tora e Piccilli con sua moglie Gina, i tre figli, suo padre Corrado e la zia Adele, sorella di Corrado. Vi giunsero nei primi giorni dell’aprile 1943. Altre poche persone vi erano giunte da quel 26 settembre del 1942, per cui la comunità ebraica, residente a Tora, annoverava nell’aprile del 1943 una cinquantina di persone.
Essi furono accolti dalla comunità di Tora e Piccilli in maniera sorprendente, in quanto tutti riuscivano a legarsi a loro e ricevevano attestati di solidarietà di tutti gli abitanti di tale piccolo paese della provincia di Caserta. Dopo il fatidico otto settembre, la solidarietà, che era diventata anche amicizia, si fece giusto silenzio complice, quando arrivarono, già nei giorni successivi all’otto settembre 1943, i tedeschi a perlustrare il paesino.
Dal podestà, l’avvocato Ciro Maffuccini, all’ultimo fascista fino al carabiniere  Alfredo Julianis, tutti fecero a gara per ospitarli e soccorrerli, anche se al centro dell’intera vicenda ritroviamo la figura della baronessa Antonietta Falco, che apparteneva ad una ricca famiglia napoletana, e fu in prima linea quando vide arrivare intere famiglie di amici ebrei napoletani che chiedevano rifugio per evitare di essere deportate . La baronessa, con la complicità di tutta la popolazione, diede asilo e protezione a tutti. La sua splendida villa divenne la sinagoga ove gli ebrei potevano dedicarsi al loro culto.
Anche quando l’8 settembre Tora fu invasa dalle truppe tedesche e visse l’evento crudele del rastrellamento di migliaia di uomini, poi deportati in Germania, tutti tacquero sull’identità semita di molti di loro. Nessuno denunciò gli ebrei e anche in quel difficile frangente tutti si adoperarono per proteggerli. Anche le forze dell’ordine del paese , che erano al corrente dei movimenti clandestini, fecero finta di non vedere, né sapere.
Conosciamo anche tale storia non solo per la memoria degli abitanti, ma grazie allo stesso figlio di Raoul Gallighi, Vittorio, che, per ringraziare e rendere onore ai Giusti di Tora e Piccilli, scrisse, in data 3 febbraio 2003 all’ambasciata d’Israele di Napoli.
Vittorio Gallichi chiedeva per Tora e Piccilli il riconoscimento di paese ” Giusto”. Non era previsto il riconoscimento ufficiale di paese ” Giusto”, ma tale titolo era attribuito solo alle persone.
Allora il 2 novembre 2003 Vittorio Gallighi scrisse una commuovente lettera al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Dopo aver reso atto al Presidente Ciampi della sua sensibilità riguardo al tema della persecuzione razziale, affrontato con grande lucidità, in occasione del 60esimo anniversario della deportazione degli ebrei romani, Vittorio, dopo aver ripercorso in maniera completa la storia personale e di tutti quelli che “ sono stati salvati dal Comune di Tora e Piccilli, in provincia di Caserta”, non essendo possibile il titolo di paese “ Giusto”, non previsto ufficialmente, come da risposta dell’ambasciata israeliana di Napoli, chiese un” altro riconoscimento di coraggio, umanità e grande altruismo”.
La risposta del Quirinale arrivò in data 18 dicembre 2003 e al paese di Tora e Piccilli è stata conferita la medaglia d’argento al merito civile.

Bibliografia:
Piero Antonio Toma- Il silenzio dei giusti- Grimaldi Editori- Napoli 2004