
Una congiura contro Cesare, mirata ad ucciderlo, proveniva da lontano e già nell’orazione Pro Marcello, pronunciata in Senato nella tarda estate del 46 a.C., Marco Tullio Cicerone “incitava i senatori a vigilare e a proteggere Cesare da eventuali congiure” e, rivolgendosi direttamente a Cesare, lo metteva in guardia da un attentato “ magari maturato proprio tra le file dei suoi”.
Luciano Canfora scrive che “ proprio a Narbona nella tarda estate del 45 a.C. si comincia a tessere una trama per far fuori Cesare, uscito inopinatamente vivo anche da Munda. In quel momento i congiurati avevano pensato che poteva essere coinvolto anche Marco Antonio.”
Inoltre, presente Cesare, la notte precedente le Idi di Marzo, vi era stata un’inquietante conversazione a casa di Marco Lepido, L’oggetto della conversazione, infatti, verteva su quale tipo di morte si mostrava preferibile, e Cesare aveva partecipato a tale “ lugubre” colloquio.
Pertanto la giornata del 15 marzo del 44 a.C. non poteva non essere alquanto convulsa, dati i preparativi dei congiurati e la decisione di Cesare di disdire la seduta del Senato, inviando Marco Antonio a congedare i senatori. A questo punto intervenne Decimo Bruto Albino, un uomo che godeva della fiducia di Cesare ma nel contempo solerte congiurato, il quale si aggirava nei dintorni della dimora di Cesare dalla mattina.
Decimo Bruto lo esortava a differire i suoi impegni e lo convinse infine della necessità di riferire personalmente ai senatori del rinvio della seduta di quel giorno. In effetti, Cesare era ormai braccato dai congiurati, i quali erano consapevoli che Cicerone non si sarebbe presentato e che Trebonio teneva Marco Antonio ben lontano dalla Curia.
Marco Giunio Bruto era già armato in Senato, quando proprio dalla sua dimora era uscito, senza dare nell’occhio, un greco, Artemidoro di Cnido, maestro di lettere greche e figlio di quel Teopompo di Cnido, in onore del quale Cesare aveva concesso la libertà alla città dopo la vittoria di Farsalo. A Roma Artemidoro era entrato in familiarità con la cerchia di Bruto e aveva intuito o appreso quanto necessario per raggiungere Cesare e metterlo in guardia.
Secondo Appiano, Artemidoro giunse nella Curia quando ormai era troppo tardi. Invece, nel resoconto di Plutarco, Artemidoro di Cnido, che aveva messo per iscritto la sua rivelazione dell’imminente attentato, riuscì ad avvicinare Cesare e dirgli di leggere il foglio che gli era stato fornito, anziché passarlo ai segretari senza neanche leggerlo, come era solito fare. Inoltre, lo stesso Plutarco aggiunge che, poco prima di essere ucciso, Cesare era riuscito a prendere quel foglio che denunciava la congiura. Tale appunto non sarebbe, però, mai stato letto, in quanto Cesare dovette rimandare la sua lettura ad un momento successivo, distratto e impedito in quel momento dalla folla e dalla calca dei postulanti.
Se Artemidoro di Cnido aveva cercato di salvare Cesare, le voci della congiura erano trapelate. D’altronde, “l’eteria” di Gaio Cassio era riuscita nel tentativo indispensabile di “tirare dalla propria parte” Marco Giunio Bruto, nipote di Catone Uticense, “ ritenuto figura chiave” per il buon esito della congiura. Nel contempo a Bruto era stato affidato il compito di “ arruolare” altri congiurati, con il conseguente rischio di un palesarsi di notizie “sorte dallo stesso campo cesariano”, tenuto conto anche che vi era stato qualche inatteso rifiuto.
Bibliografia:
Luciano Canfora- Giulio Cesare- Il dittatore democratico- Laterza, 2006.
