Mentre tanti intellettuali italiani del periodo fascista presero posizione a favore delle leggi razziali del 1938, rendendosi altresì quale avanguardia di una decisa propaganda, si levava il coraggioso dissenso di Benedetto Croce, che non ebbe esitazioni a denunciare in Italia la riprovazione verso il Manifesto della Razza.
Al disaccordo espresso dal Croce si unì quello di altri intellettuali, esuli in Francia, e di Ernesta Bittanti, vedova di Cesare Battisti, il noto giornalista e soldato patriota di Trento, condannato a morte dal tribunale militare austriaco con l’accusa di tradimento il 12 luglio 1916.
Come hanno rilevato Mario Avagliano e Marco Palmieri nel loro lavoro Di pura razza italiana, i casi di Benedetto Croce e di Ernesta Bittanti si mostrarono delle eccezioni in quanto per gli “antifascisti che vivevano in Italia, nella maggior parte dei casi il dissenso verso la politica antiebraica del regime rimaneva confinato nella sfera privata.”
Invece Benedetto Croce accolse l’appello promosso dal rettore dell’Università cattolica in favore degli ebrei tedeschi perseguitati, rispondendo con una lettera del 5 agosto, quindi a pochi giorni dalla pubblicazione del Manifesto della Razza, esprimendo “ribrezzo” per quanto aveva messo in atto Hitler, e mostrandosi molto preoccupato che Mussolini potesse conseguentemente seguire il suo alleato.
“Disgraziatamente, ora anche in Italia è stata, a un tratto, iniziata un’azione razzistica e antiebraica, che non si sa ancora quali forme assumerà, ma che voglio augurarmi che non sia per essere duratura. In Italia non vi è stato mai antisemitismo, e l’elemento ebraico cooperò per la sua parte al Risorgimento nazionale”.
La coraggiosa lettera di Benedetto Croce fu pubblicata sul “Palestine Post” e, come era prevedibile, appena la notizia arrivò in Italia, si scatenò nei confronti del filosofo e storico italiano una durissima reazione da parte della stampa di regime, attribuendogli l’appellativo di “giudeo onorario”, o ironicamente di essere un “chassidista”, mettendo all’indice il suo “pietismo”.
Croce continuò senza farsi intimidire e, quando l’atteggiamento antisemita iniziò a degenerare in forme di “atroci delitti”, lo scrisse senza remore, rimarcando che gli ebrei erano “nostri concittadini, nostri compagni, nostri amici, che per l’Italia lavoravano e l’Italia amavano né più né meno di ogni altro di noi”.
Non esitò a dedicare alcune delle sue pubblicazioni a personalità del panorama letterario di religione ebraica. Su La Critica, omaggiò un critico letterario dell’Ottocento, un eroe del Risorgimento quale Tullo Massarani, che manifestò tutta la sua ideale appartenenza ai sogni degli eroi risorgimentali, parlando degli italiani come “ il popolo nostro”.
Inoltre nel 1939 pubblicò la terza edizione de La storia come pensiero e come azione, integrandola con un capitolo in cui dimostrò l’inconsistenza teorica ed etica del concetto di razza.
Con la sua attività cercò di impedire che i testi ebraici fossero banditi dal regime fascista e a tal proposito scrisse una lettera in difesa della sua casa editrice Laterza refrattaria al volere del regime.
Benedetto Croce si mostrò quale nobile esempio di uomo e di intellettuale, che ebbe il coraggio di esprimere attivamente tutto il suo disaccordo nei confronti del fascismo in un triste momento storico in cui tanti giornalisti, scrittori, scienziati, medici, intellettuali mostravano per esso non solo sostegno, ma anche entusiasmo.
Bibliografia:
Mario Avagliano- Marco Palmieri- Di pura razza italiana- Baldini & Castoldi – 2013