Bruto e la pagina di Seneca sull’inutilità del “cesaricidio”

Per mettere in atto la congiura contro Cesare, Gaio Cassio Longino  aveva deciso di puntare tutto su Marco Giunio Bruto, il nipote di Catone Uticense, che sarebbe diventato “ il pezzo migliore” della congiura.

In effetti, Bruto  diventava gradualmente, a causa dell’ intuito e dell’ostinazione  di Cassio, il congiurato decisivo. Come è noto, Bruto si era schierato con Pompeo, ma era diventato un prediletto di Cesare, il quale  aveva ordinato ai suoi ufficiali di risparmiargli la vita nella battaglia di Farsalo.   

In quell’anno 44 a.C. Bruto rivestiva l’incarico di  pretore e, nonostante  Cesare lo avesse  preferito in tal incarico proprio a Cassio, quest’ultimo aveva intuito che non pochi “ cesariani” avrebbero seguito Bruto, se si fosse riusciti in una sua diretta e attiva corresponsabilizzazione nella congiura. 

Pertanto Cassio, che  si adoperava dall’anno precedente nella congiura, si mostrava  sempre più convinto che solo Marco Giunio Bruto avrebbe potuto amalgamare in maniera ideale  le due anime della congiura: quella “ pompeiana” e quella “ cesariana” in procinto di mostrarsi ostile a Cesare dopo la scelta della dittatura.

Infatti,  come  scrive Luciano Canfora “ le due anime della congiura, quella rimasta pompeiana e la parte cesariana, divenuta sempre più ostile al dittatore, si coalizzano e stanno insieme, nonostante le differenti matrici.  Bruto è sentito come la figura che garantisce entrambi, ma soprattutto rassicura quelli che si accingono a tradire Cesare”.

Plutarco nella “Vita di Bruto” riferisce, inoltre,  che Marco Giunio Bruto, nel suo attivo proselitismo, ricevette due soli inaspettati  rifiuti, tutti e due da uomini che  erano stati legatissimi a suo zio Catone Uticense e che sarebbero morti  entrambi combattendo a Filippi nelle file repubblicane : Statilio e Favonio.

Nell’intento di un possibile coinvolgimento nella congiura dei due “ catoniani”, secondo le fonti che Plutarco in questo caso adopera,  Marco Giunio Bruto, incontrando Statilio e Favonio,  introduceva  una discussione politico-filosofica sulla miglior forma di governo,  più precisamente il tema della legittimità e della tollerabilità della monarchia, e conseguentemente dei mezzi leciti e non per contrastarla. Ciò  si arguisce dalle risposte che Bruto ottenne.

Infatti, Statilio,  disse: “Al saggio non si addice il rischio di vedersi sconvolgere l’esistenza per colpa di gente mediocre e dissennata”, mentre Favonio si mostrò ancora più esplicito: E’ meglio una monarchia illegale che una guerra civile.”  Al riguardo Luciano Canfora evidenzia che “la reazione dei due catoniani poteva essere dovuta semplicemente al modo maldestro con cui Bruto aveva guidato la non troppo criptica discussione. Oltretutto uno che  sotto una dittatura si sente fare discorsi del genere può temere una provocazione.”

In una pagina del De Beneficiis lo stesso Seneca si sofferma sul gesto di Bruto, e dà un giudizio decisamente sfavorevole, rilevando che  in tal caso egli si sarebbe clamorosamente sbagliato e non si sarebbe comportato secondo l’insegnamento stoico. Conseguentemente Seneca si mostra contrario al “ cesaricidio”, rimarcando primariamente che Bruto evidentemente “è stato spaventato dal titolo di re oppure è stato attratto dalla migliore garanzia di stabilità  sotto il governo di un re giusto”.

In alternativa- aggiunge Seneca nella trattazione delle varie ipotesi che abbiano potuto indurre  Bruto alla congiura contro Cesare,  si può pensare che “abbia  sperato che davvero potesse sussistere  la libertas là dove in realtà era ormai vantaggiosissimo non solo comandare ma anche servire; oppure ha pensato che lo Stato potesse essere ricondotto al precedente ordinamento, pur dopo la scomparsa degli antichi costumi; oppure addirittura ha immaginato che si sarebbe potuto instaurare l’uguaglianza del diritto e il saldo e necessario dominio della legge,  là dove aveva pur visto masse di migliaia di uomini scontrarsi e combattere non già pro o contro l’asservimento, ma per  quale dei due potenziali  padroni diventare i servi.” Il riferimento dell’ultima espressione  si mostra evidente e riguarda la decisiva battaglia di Farsalo tra Cesare e Pompeo.

Seneca rimarca che chi aveva visto Farsalo, come Bruto che là aveva combattuto, non poteva nutrire fiducia in una rinascita della “libertas”. Al riguardo Luciano Canfora commenta che Seneca intende comunicare che   “non s’instaura la libertà in assenza di un sufficiente numero di cittadini in grado di apprezzarla, desiderarla e difenderla”.  Pertanto, “c’è  in questa pagina in sintesi la teorizzazione dell’inutilità del  cesaricidio in ragione del principio secondo cui la forma costituzionale più equilibrata è il governo di un re giusto.”

Comunque quelli di Statilio e Favonio furono gli unici due rifiuti che Bruto ricevette. Come riporta Plutarco lo stesso “Decimo Bruto Albino, che godeva della fiducia di Cesare,  accettò senza dubbi di partecipare alla congiura contro Cesare in ragione della presenza di Marco Giunio Bruto.”  Infatti, Decimo Giunio Bruto Albino, console designato per il 42, entrò nella congiura contro Cesare allorché  venne a conoscenza  del coinvolgimento decisivo di Marco Giunio Bruto.  La stessa scelta sarà condivisa da Gaio Trebonio come anche da altri “ cesariani”.

Bibliografia:

Luciano Canfora- Cesare, il dittatore democratico- Laterza, 2006. Cap. XXXIV “La “eteria” di Cassio e l’arruolamento di Bruto” ; cap. XXXV “ Realismo di un congiurato: Cassio si mette in seconda fila”; cap. XXXVI ” Qualche inatteso rifiuto”

Seneca- De Beneficiis- Libro 2, cap. 20