Clodio, Cicerone e l’esecuzione dei  capi catilinari

In relazione alla congiura di Catilina, la notte di quel drammatico 5 dicembre 63 a.C.  si tenne nel tempio della Concordia, dato lo stato d’assedio, la  seduta del Senato  per  decidere la condanna da attribuire ai congiurati catilinari arrestati. Mentre Cesare  proponeva l’incarcerazione a vita e la confisca dei loro beni, Catone Uticense si dichiarava per la condanna a morte dei congiurati con tali parole: “ Poiché per iniziativa criminali di cittadini scellerati la Repubblica è venuta nel massimo pericolo, e poiché per effetto della denuncia di Tito Volturcio e dei legati Allobrogi, costoro sono stati convinti del loro crimine e l’hanno confessato, cioè di aver progettato stragi, incendi ed altri atti spietati a danno dei cittadini e della patria, sia loro inflitto il supplizio previsto dal costume dei nostri antenati nel caso dei rei confessi di reati passibili della pena di morte, da trattarsi come criminali colti in flagrante.”

Publio Clodio Pulcro, entrato in carica come tribuno della plebe il 10 dicembre del 59 a.C., riaprì il “dossier” delle condanne a morte, eseguite la stessa notte del 5 dicembre 63,  e accusò Cicerone di aver falsificato il testo del “ senatus consultum” che aveva sancito le condanne.  La proposta di Catone Uticense era stata approvata con ampio consenso, ma la redazione finale della delibera  era   prerogativa del console, nonché presidente della seduta. Anche le parole di Catone erano state raccolte dagli stenografi del console. Conseguentemente Luciano Canfora si chiede in cosa può essere consistito il “ ritocco”, cui si riferiva Clodio, che aveva consentito a Cicerone di far strangolare i congiurati quella stessa notte del 5 dicembre.

 Se si tiene fede a quanto riferito da Publio Clodio Pulcro, la sola risposta possibile sarebbe che,  mentre Catone aveva definito i congiurati “ cives”, dunque cittadini, Cicerone aveva sostituito le parole “scelerati cives”, pronunciate da Catone,  con quelle di “ hostes iudicati”, cioè “giudicati nemici”. Ciò comportava che un cittadino che era giudicato “hostis” perdeva i diritti di “ cittadino”,  e infatti Catilina e Manlio, ormai ribelli, erano già stati proclamati “hostes” con apposita delibera del Senato.

 Luciano Canfora evidenzia al riguardo che vi era stata “ una violenza sfociata nell’illegalità, dato che  l’esecuzione capitale immediata dei congiurati catilinari era stata attuata senza che essi potessero far ricorso alla provocatio ad populum,” prevista dalla Lex Sempronia, in quanto cittadini romani. Infatti, la provocatio ad populum consisteva in un appello al popolo cui tutti i cittadini romani condannati a morte avevano diritto.

Il gesto di Cicerone di  “ ritoccare” il testo del “ senatus consultum”, facendo giustiziare, in sua presenza, i congiurati catilinari la notte stessa del 5 dicembre 63 a.C., potrebbe essersi rivelato un “ passo falso” dovuto ad un “ delirio di onnipotenza” come anche al timore di un pericolo di forza popolare per liberare gli imputati detenuti.

Lo scandaloso precedente ciceroniano costituirà una delle premesse per l’iniziativa di Cesare, console nel 59 a.C.  e mentore di Clodio, di promuovere la regolare redazione e pubblicazione degli atti senatoriali.

Bibliografia:

Luciano Canfora- Catilina. Una rivoluzione mancata- Laterza, 2023. Parte IV cap. 6 “ Ritoccare i documenti”