Approcciarsi alla questione del brigantaggio postunitario italiano costituisce un momento che appassiona e a cui ci si dovrebbe appropinquare con il dovuto distacco di comunicazione storica, dato che si può attingere a numerosissimi studi storici i quali ne forniscono disparate e contrastanti interpretazioni. Al riguardo, infatti, è presente una vasta produzione la quale ne prende in esame cause e caratteristiche diverse e discordanti.
Figlio di Domenico Summa e Anna Coviello, Giuseppe Nicola Summa, meglio conosciuto quale Ninco Nanco, nacque ad Avigliano il 12 aprile 1833 in un ambiente familiare disagiato e con diversi problemi con la legge.
Uno zio, infatti, è Giuseppe Nicola Coviello, famoso brigante dell’epoca preunitaria, bruciato vivo nell’incendio di una capanna di paglia dove si era rifugiato per sfuggire alla polizia borbonica. Un altro zio, dopo avere scontato dieci anni di carcere per avere picchiato un gendarme, festeggia la libertà accoppando un concittadino per questioni di gioco e quindi si dà alla latitanza nelle Puglie, dove ammazza l’incauto massaro che gli ha offerto lavoro.
A vent’anni, nel 1853 viene ferito nel corso di una lite per motivi di gioco, a quanto pare vizio di famiglia.
Nel 1856 viene aggredito, pugnalato ed abbandonato in mezzo alla strada come morto, ma Giuseppe Nicola Summa sopravvive a tale aggressione. Rifiuta, tuttavia, di riferire quanto accaduto alla gendarmeria borbonica, e nel corso della lunga degenza medita vendetta. Quindi, una volta guarito, ammazza a colpi di scure uno dei suoi feritori. Viene arrestato e condannato a dieci anni di prigione nel durissimo bagno penale di Ponza, dal quale evade meno di quattro anni dopo, al momento del crollo dei Borbone.
Tornato in Basilicata, cerca di arruolarsi prima nei garibaldini poi in varie unità locali di orientamento liberale e filo piemontese, ma viene sempre rifiutato. Anzi, quando si presenta a una colonna di volontari diretta a combattere i borbonici, sfugge a stento alla vendetta dei familiari della sua vittima presenti nella formazione” Nicola Summa si dà alla latitanza e pochi mesi dopo si lega alla banda del brigante Carmine Crocco”.
Quindi Ninco Nanco chiese aiuto prima ai garibaldini e poi alle stesse unità locali di orientamento liberale e filo piemontese per risolvere i suoi problemi con la giustizia.
Ciò è confermato da diversi storici tra cui Giordano Bruno Guerri, che nel testo “Il Sangue del Sud” ( pag. 194) testualmente scrive: “Giuseppe Nicola Summa, nato a Avigliano nel 1833, apparteneva ad una famiglia dal curriculum criminale di tutto rispetto. In particolare lo zio materno, Giuseppe Nicola Coviello, era stato un bandito tra i più temuti del luogo e finì bruciato vivo dalla polizia borbonica nella capanno dove si era nascosto. Uno zio paterno, invece, aveva scontato dieci anni di prigione per aver schiaffeggiato un gendarme; uscito di galera, uccise prima un compagno per una questione di gioco, poi un massaro pugliese per il quale lavorava. Gli esempi familiari e la personalità ribelle di Ninco Nanco offrivano ampie garanzie di un futuro da fuorilegge. L’aspetto e il contegno non erano di meno”.
Aveva vent’anni quando nel 1853 fu ferito durante una lite per questione di gioco e nel 1856, per motivi sconosciuti fu aggredito in strada e lasciato mezzo morto. Non intese collaborare con la giustizia borbonica e meditò la vendetta personale, ammazzando a colpi di scure uno dei suoi feritori.
L’ omicidio gli costò una condanna a dieci anni nel bagno penale di Ponza, ma il crollo del regime borbonico gli diede l’opportunità di tornare molto prima in libertà, cercando di offrire i suoi servizi prima ai garibaldini e poi facendo domanda di arruolamento nella Guardia Nazionale di Avigliano, ma venne rifiutato. Non gli rimase allora che la latitanza. L’ incontro con Carmine Crocco segnò l’inizio della sua vita da brigante.