Sebbene “ Noi credevamo” di Anna Banti sia un romanzo storico con le inevitabili caratteristiche estetiche tipiche di una produzione letteraria, l’autrice utilizza le memorie storiche del suo avo Domenico Lopresti come anche le Memorie di prigione di Sigismondo Castromediano, grande figura del Risorgimento, nonché personaggio di rilievo nel romanzo storico della Banti, il cui vero nome è Lucia Lopresti.
Yannick Gouchan scrive che “ l’origine della scrittura di questo libro è quasi legata ad un dovere famigliare, in quanto dà voce a quelli che, come Domenico Lopresti, sono stati dimenticati o rimossi dalla storia ufficiale dell’Unità”. Infatti, Domenico Lopresti, benché fosse una figura storica reale, è pressoché assente dalla storiografia concernente i patrioti risorgimentali. Alcuni elementi della sua biografia sono presenti nell’opera in due volumi “ I galeotti politici napoletani dopo il Quarantotto” di Attilio Monaco.
Inoltre, è stato il film di Mario Martone, che ha voluto conservare il titolo del romanzo della Banti, pur essendo la sceneggiatura liberamente ispirata al romanzo, a riportare l’attenzione sull’opera letteraria “ Noi credevamo”. Mario Martone esplicita che uno degli elementi importanti che “il film deriva dal libro di Anna Banti è la radicalità repubblicana”.
Il protagonista del romanzo Domenico Lopresti, “ galantuomo” ma restìo a parlare delle sua condizione sociale, pur essendo figura minore del Risorgimento, rappresenta comunque il sentire mesto e disilluso, nonché idealistico, di quei repubblicani democratici che avrebbero voluto un diverso esito finale dell’Unità.
Di origine calabrese, nato nel 1816, affiliato ai “ Figliuoli della Giovine Italia” di Benedetto Musolino, si mostra un repubblicano irriducibile, e per la sua attività di cospiratore è imprigionato prima a Procida, poi a Montefusco e infine a Montesarchio. Dopo 12 anni di prigione, riacquistata la libertà, dopo la Spedizione dei Mille si mostra deluso e disilluso dell’ esito dell’Unità. Tuttavia, decide di riporre ancora speranza in Giuseppe Garibaldi nel 1862, ma dopo la battaglia di Aspromonte subisce un nuovo arresto. Provvidenzialmente viene liberato grazie all’aiuto di una giovane inglese, Miss Florence Cordero, moglie di un ufficiale italiano. I suoi ideali di rivoluzionario, repubblicano e democratico, si sono rivelati solo vani sogni illusori.
Oltre all’incontro con Benedetto Musolino, nel romanzo emerge il rapporto di amicizia che si instaura tra Domenico Lopresti e Sigismondo Castromediano durante la comune carcerazione, con una presenza “ sostanziosa” del Duca di Cavallino nell’intreccio romanzesco.
Ciò è dovuto al fatto che l’autrice aveva consultato in maniera accurata le Memorie di Castromediano, che non aveva dimenticato il vecchio compagno di prigione: “E sarebbe anche una colpa non fare almeno un cenno fugace di Domenico Lopresti, giovine anch’egli ben educato, colto e distinto. Uscito di galera, fu ritenuto altri sette mesi nelle più malsane ed oscure prigioni di Napoli, tra gli stenti e le privazioni, e corse pericolo di perdervi gli occhi, senza che gli arrecassero soccorso: malattia che lo aveva minacciato anche a Montefusco”.
In effetti il Duca di Cavallino, di idee monarchiche, liberali e moderate, non esita ad instaurare con Domenico un cordiale e caloroso rapporto di amicizia, e anche quando Don Sigismondo “ si diffondeva nelle solite lodi sull’abilità di Cavour, riuscito ad allearsi con Napoleone, in vista di una prossima guerra con l’Austria. Perché turbarlo rivelandogli quanto dissentissi dalle sue speranze? Scoraggiato, riflettevo che di me non conosceva che la mia costanza di liberale e patriota e la mia partecipazione ai fatti del’48: non me la sentivo di rinunziare alla sua amicizia.
Al di là del diverso credo politico sul compimento dell’Unità, Domenico tiene a rimarcare di privilegiare i sentimenti di rispetto e stima: «Non gli rimproveravo le sue idee di moderato e monarchico: lo rispettavo ed ero convinto che, comunque la pensasse, il suo animo era aperto alla più larga giustizia»
Conseguentemente Sigismondo si rivelerà un sincero confidente per Domenico, il quale, nonostante gli inevitabili dissensi, non esiterà mai ad esprimere la sua ammirazione per Castromediano a causa della sua dirittura morale, per cui il Duca di Cavallino si mostrerà quale persona più “degna” e “ leale” tra i detenuti.
Come evidenzia ancora Yannick Gouchon “ si osserva che il tratto che contraddistingue maggiormente Castromediano, nel romanzo, mediante le fonti d’ispirazione della Banti, è quello di una dignità assoluta.” Ne costituirà ulteriore testimonianza il momento in cui si diffonde la notizia infondata che abbia accettato di chiedere la grazia al re, probabilmente per intervento di qualche suo influente nobile parente.
Mentre si diffondono sentimenti di meraviglia e riprovazione da parte dei compagni in quanto Don Sigismondo si prepara a lasciare il carcere di Montefusco insieme ad altri sei detenuti delatori, è Domenico ad analizzare ed esplicitare il sentire interiore dell’amico riguardo alle false accuse e all’umiliazione che Castromediano deve subire:
Ci scostammo per lasciali passare e Castromediano aggrottò la fronte con quella sua smorfia signorile (il sopracciglio destro rialzato, gli occhi socchiusi dal dispregio) che di solito dedicava agli sgherri più corrotti. «Quello che non posso sopportare» mi sussurrò «è fare il viaggio insieme a costoro: non me lo meritavo». Sospirai, e mentre gli stavo alle spalle, non so come mi trovai a mormorare: «Sono degli sventurati». Di scatto si voltò, il suo profilo aquilino pareva inciso in una medaglia. «Sventurati?» ripeté con una sorpresa che non era protesta ma rifletteva l’esitazione dubbiosa dell’uomo giusto, sensibile agli scrupoli. Non gli risposi e lo abbracciai.
Quando don Sigismondo riferisce a Domenico della fallita Spedizione di Sapri, accusando “l’eterno Mazzini, fautore e complice di ogni inutile sacrificio”, Domenico ribatte che Pisacane “stanco di prudenti riserve, di contrasti dottrinali, di alterne indecisioni, convinto di esser rimasto solo, […] aveva organizzato un suicidio che scuotesse gli animi torpidi”.
E’ l’ ultima volta che i due protagonisti dibattono in carcere su posizioni “ ideologiche” differenti. Infatti, s’incontreranno ancora, ma questa volta a Torino, dove Domenico vive da pensionato con la famiglia e Castromediano è diventato parlamentare del Regno.
Bibliografia:
Anna Banti- Noi credevamo- Arnoldo Mondadori Editore, 2010
Yannick Gouchan «Le idee di cui mi ero lungamente esaltato»: il Risorgimento e i suoi protagonisti meridionali nel romanzo Noi credevamo di Anna Banti pp. 43-68 in “Tra realtà storica e finzione letteraria. Studi su Sigismondo Castromediano” a cura di Antonio Lucio Iannone- Pensa MultiMedia Editore, 2019.