Due chiese medievali di Pignataro: San Giorgio e Grazzano

Le notizie storiche concernenti le chiese di San Giorgio e della chiesetta di Grazzano hanno suscitato nel corso degli anni  soprattutto l’interesse degli storici e studiosi dell’agro caleno, ad iniziare dal canonico Giovanni Penna, il quale nel 1833 pubblicava Stato antico e moderno del casale di Pignataro e suo miglioramento.

La Chiesa di San Giorgio

In relazione alla chiesa di San Giorgio,  le più antiche notizie risalgono agli inizi del Trecento e le ritroviamo nelle “ Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV”- Campania, il cui capitolo VIII, dalla pagine 111 alla pagina 118 è dedicato alle chiese della Diocesi di Calvi. La chiesa di San Giorgio è citata due volte: al n° 1415 si riporta che “Rector ecclesiae S. Georgii que valet tar. X solvit tar. I°”, ossia che il Rettore della chiesa di San Giorgio, con rendita di 10 tari, ha versato la decima parte, un tari, mentre al n° 1449, dove, accanto ad “ Ecclesia S. Georgii è riportato anche il toponimo Pignataro, si rivela che la rendita è di 20 tari e pertanto si è versato regolarmente due tari.

Secondo le ricerche dell’archeologo Stanislao Femiano, il territorio dell’attuale Pignataro Maggiore, è noto per l’interesse che riveste per la suddivisione delle terre, operate dagli antichi Romani negli anni successivi l’occupazione di Cales del 335 a.C, allorché i terreni furono assegnati ai soldati veterani romani, e in tale contesto storico, “ove oggi sorge la chiesa di San Giorgio si ergeva in epoca romana, stando all’osservazione dei pochi ruderi visibili, la casa- villa di un buon romano, che si scelse un luogo tanto ameno per la propria abitazione”. I piani di posa di tali ruderi presenti nelle immediate vicinanze della chiesa sono rinvenibili ad un livello superiore rispetto a quello del sagrato.  Ciò significa- ne deduce l’archeologo Femiano- che quando si costruì la chiesa “ si provvide ad eliminare completamente una parte degli antichi ruderi[…] Data l’osservazione del materiale di seppellimento dei ruderi superstiti, dato l’andamento dei rilievi in quest’area, si ricava che quando si costruì la chiesa di San Giorgio, i ruderi che non furono eliminati dovettero essere nascosti con terreni di riporto”.  Anche Giuseppe Marchione scrive che  l’edificio  è sorto  nei pressi di una villa romana, le cui strutture affioranti coprono un arco cronologico che va dal II al I secolo d.C. Le fondamenti poggiano sulle strutture della villa, di cui furono utilizzati parte dei materiali. 

Dopo l’ anno 1327, in cui sono comunicate le decime versate, vi è un vuoto di quasi tre secoli; infatti, per avere ulteriori prime notizie della parrocchia di San Giorgio, bisogna giungere al 1583, l’anno della prima grande Visita del vescovo Mons. Fabio Maranta, giunto in Diocesi l’anno precedente e desideroso di conoscere lo stato delle parrocchie. Bisogna anche evidenziare che, dopo il Concilio di Trento che contrassegnò la controffensiva della Chiesa cattolica alla riforma protestante in Europa, i vescovi erano obbligati a visitare ogni anno le parrocchie della diocesi.

Il verbale di tale Santa Visita di Mons. Maranta reca il titolo di “ De Visitazione Casalis Pignatari et propre ecclesiae S.ti Giorgi”. Il primo foglio ( 83 recto e verso) fu riassunto in tal modo da Don Pietro Palumbo: “ La parrocchia aveva sede nella chiesa di San Giorgio, adagiata ai piedi del monte chiamato appunto di San Giorgio, ed aveva il titolo di Arcipretura[…] Le famiglie erano 146, i fedeli 632, la rendita di ducati 70 annui. Un grave abuso era invalso in precedenza: l’Arciprete era in possesso del beneficio, ma la cura delle anime era esercitata da un cappellano. Infatti in precedenza ne era stato Arciprete D. Carlo Coraldo, un chierico di Capua, ed in seguito D. Giovanni Girolamo Galluccio, un nobile napoletano. Il Vescovo Ascanio Marchesino, in esecuzione dei decreti del Sinodo provinciale celebrato a Capua dal Card. Simonetta, persuase il chierico D. Giovanni Girolamo Galluccio a dimettersi. Furono così unite arcipretura e cappellania nella persona di D. Tommaso Barricelli che, già cappellano, potette prendere possesso anche della arcipretura ( 2 agosto 1577)”. La Santa Visita prosegue con la descrizione delle cappelle, o  altari laterali,  della Chiesa; entrando dall’ingresso principale, si evidenziava la dedica di tali cappelle e le rispettive  famiglie del Casale proprietarie, con due  altari laterali  collocati a destra e due a sinistra. Infatti, le cappelle  di destra erano  dedicate, a partite dall’ingresso principale, a Sant’Antonio Abate ( proprietà della famiglia di Marco e Antonio Borrelli), a San Giacomo Apostolo ( appartenente agli eredi di Federico Monaco), a San Francesco d’Assisi ( proprietà di Cesare Ioffreda) e all’Assunzione ( proprietà di Casa Barricelli). Degli altari laterali collocati a sinistra, il primo era  senza dedica e apparteneva a Pietro e Cesare Margiocca e il secondo a Santa Maria della Pietà, di proprietà di Giovanni Iorio. Si notava, altresì, che i Santi titolari delle varie cappelle erano tutti dipinti su muro, e che solo di San Francesco era presente una statua in legno, mentre per la prima cappella a sinistra, essendo senza intitolazione, non vi era conseguentemente né dipinto né statua. Dalla visita di Mons. Fabio Maranta si apprende che nel 1583 i “ fuochi”, ossia nuclei familiari, della Parrocchia erano 146 per un totale di 632 fedeli.

Dalla Visita di Mons. Vincenzo Maria De Sylva, vescovo di Calvi dall’aprile 1679 al luglio 1702, si apprendono altre notizie sulla situazione dell’edificio, che era circondato da un muretto il quale circoscriveva un cortile, Erano presenti due ingressi, quello principale rivolto ad oriente e il minore a meridione. La successiva Visita di Mons. Filippo Positano dell’anno 1722 ci descrive una situazione più sconfortante delle condizioni della chiesa. In particolare, si rimarca che il tetto non si trova in buono stato, al punto che vi piove all’interno, i muri presentano umidità evidente, le vetrate rotte e si deplora il fatto che “ in una sepoltura si seppelliscono uomini e donne”. Come rileva lo storico  Nicola Borrelli, dopo il trasferimento dei Sacramenti nella Cappella della Misericordia, nel giugno del 1769, la chiesuola restò quasi abbandonata, e solo vi si riuniva, una volta al mese, la Confraternita di San Giorgio”.

La Chiesa di S. Maria di Grazzano

La Chiesa di S. Maria di Grazzano è ubicata a pochi km dal centro urbano di Pignataro Maggiore. Pare che non abbia mai avuto un ruolo tanto centrale nella vita cultuale del paese, dato che anticamente si trovava nel bel mezzo di una vasta campagna, mentre oggi, occultata dall’espansione cittadina, è sconosciuta ai più. Tuttavia essa conserva un bagaglio di ricerca storica mirata alla ricerca di comprenderne l’origine e la sua funzione nei secoli.
L’edificio sembra risalire all’XI secolo, ma non si hanno fonti storicamente attendibili al riguardo, in quanto solo tre secoli più tardi, quando vennero stilate nel 1327 le Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV (un registro delle decime che venivano riscosse dagli enti ecclesiastici), si hanno le prime notizie verificabili sull’esistenza del luogo di culto.
La sua struttura architettonica è molto semplice, a navata unica, terminante in un’abside cui si accede mediante un arco centrale: è qui che si trova un affresco raffigurante Maria tra due santi. Uno studio effettuato nella metà dello scorso secolo ha scoperto che l’affresco potrebbe essere stato sovrapposto a un altro più antico (forse raffigurante san Carlo Borromeo).
Dietro poi s’intravedono i resti di un’antica iscrizione, redatta in un latino medievale, che ricorda come un certo Bernardino Canzano avrebbe voluto la realizzazione dell’affresco mariano nel 1508, ad honore[m] [et] laude[m] beat. M. Virginis.
Alla base dell’abside troviamo due grandi pietre calcaree, ornate con motivi floreali, e si tratta sicuramente di materiale che ha un’origine diversa e ben più antica, ovvero spoglia di un sepolcro romano, non facilmente collocabile. Su di esse troviamo, ancora visibili seppur lacunosi, i resti di un’antica iscrizione in parte ricostruita (SEX[TUS] POM[PEUS] SIBI ET [SUIS] ET L[IBERTIS]).
Dagli studi è emerso che l’iscrizione potrebbe essere una dedica posta su quell’antico sepolcro; è stato infatti scoperto che la Chiesa si colloca non molto lontano da quell’asse stradale che un tempo costituiva uno dei principali decumani dell’Ager Calenus, risalente al IV secolo a.C., epoca in cui l’antica Cales fu conquistata dai Romani, e che quindi il suddetto Sesto Pompeo avesse dei possedimenti terrieri proprio in quel luogo.
All’interno, sulle pareti laterali, sono ancora visibili degli affreschi e delle iscrizioni ormai però non più ben identificabili, poiché corrosi dal tempo e dall’abbandono. Quel che si può ancora intuire è che forse raffigurassero dei santi.

Sono le Sante Visite che ci consentono di approfondire la conoscenza storica riguardo alla Chiesa di Grazzano, come anche luoghi di culto di cui si conosce poco. Infatti, come scrive Antonio Martone, nella ” Santa Visita” del 1583 della Chiesa di Grazzano non si fa menzione, dato che essa dipendeva in quel tempo da altra Diocesi. Invece, nel corso della cosiddetta ” platea” del 1588 sono indicate anche i beni e le rendite di tale chiesetta: ” Essa possiede sei pezzi di terra per un torale di 15 moggia, ubicati a Grazzano, alla ” Vigna”, allo ” Ceraso e alle ” Prese”, godendo, altresì, di alcune rendite nell’ordine di 20 denari o grane corrisposti in occasione della festa di Santa Maria alla metà di agosto”. Più dettagliate e complete sono le notizie dei secoli successivi in relazione alle Sante Visite, soprattutto quelle degli anni 1644-47.
Innanzitutto apprendiamo che nel 1644 la Chiesa “ ruina”, per cui il “Visitatore” ordina a Luigi Nacca, affittatore dei terreni della chiesa, di non pagare il beneficiato. Inoltre dalla visita del 16 maggio di tale anno il “Visitatore” rileva la mancanza della campana. Informato che la campana era in possesso degli eredi di Giovanni Paolo Glorioso di Capua, si ordinava al beneficiato di provvedere affinché la campana fosse restituita nell’arco di 15 giorni. Nella Santa Visita del 13 maggio 1646, l’altare maggiore fu trovato completamente spoglio, con la sola presenza del quadro di San Carlo, il cui culto era stato introdotto dal Vescovo Maranta, proprietario di due osterie sul ponte di Calvi. L’anno successivo, nello stesso giorno, si rilevava che non si era provveduto a provvedere degli arredi e degli ornamenti, con parte della chiesa che “ minacciava addirittura di ruinare”. Il “ Visitatore” ordinò al colono Giuseppe De Haurea di non versare al beneficiato più alcun denaro.
Sappiamo, inoltre, che vi si trovasse un fonte battesimale scolpito in marmo e un pulpito in muratura. La chiesa doveva avere un atrio rivolto ad occidente, e ciò giustificherebbe la presenza di un sito di sepoltura, dove vi erano stati deposti i corpi di quanti avevano trovato la morte, con ogni probabilità, nell’epidemia di peste del 1656. Queste informazioni le apprendiamo dalla descrizione più completa redatta in seguito alla visita pastorale del 1686.
In seguito al terremoto del 1980, la struttura subì diversi danni, per riparare i quali il sacerdote don Pierino Pettrone, parroco di Partignano, commissionò una serie di lavori. Il portico soprattutto non era più visibile, probabilmente crollato durante l’evento sismico. Quello attualmente presente rappresenta solo un maldestro tentativo di ricostruirne le fattezze originali.
Oggi l’ingresso è sormontato da un arco con una cornice raffigurante la Madonna col Bambino ed altre figure sacre oggi poco riconoscibili (forse apostoli).
Come già accennato in precedenza, rare sono le notizie riguardo a tale piccola prima Chiesa del Casale di Pignataro, Tuttavia, si conosce che nell’atrio della Chiesa si trovano parti di due colonne, di origine ignota, trasportate in quel luogo forse nel XVIII secolo. Su una di esse sono incise due lettere: V. P. e I.G., rispettivamente a sinistra e a destra di un albero che ricorda molto un pino, stemma civico di Pignataro.
Studi successivi hanno cercato di dare un volto, qualora si tratti di persone, alle due lettere, ma si tratta di ipotesi. V.P. potrebbe significare semplicemente Villa Pignatarii. A propostito di “I.G.” si potrebbe ipotizzare per la I. un nome (Iulius, Iustus, ecc.) o una carica pubblica (Iudex); mentre per la G potrebbe trattarsi di “Gastaldus”, funzione che nel Medioevo rivestiva chi indicava la custodia dei beni di una persona o un amministratore di beni demaniali. Ciò nonostante, si rendono necessari ulteriori approfondimenti, oltre a quelle fornite dal canonico Giovanni Penna nello ” Stato antico e moderno del circondario di Pignataro e suo miglioramento” e da Nicola Borrelli in “Memorie storiche di Pignataro” e dallo storico locale Antonio Martone.
Un altro dei misteri che circondano l’antica chiesetta riguarda il suo singolare toponimo: Grazzano (nelle Rationes si dice de Graczano), per spiegare il quale sono state avanzate diverse ipotesi. All’inizio si è pensato che potrebbe riferirsi a un cognome (forse il Bernardinus Canzanus che avrebbe voluto la realizzazione degli affreschi.
Una spiegazione più semplice imputerebbe il toponimo alla volgarizzazione del latino Gratiarum, perché proprio quella Chiesa sarebbe dedicata a S. Maria delle Grazie (in latino “Gratiarum”).

Bibliografia:

Giovanni Penna- Stato antico e moderno del circondario di Pignataro e suo miglioramento- Caserta, 1833

Nicola Borrelli- Memorie storiche di Pignataro Maggiore- 1940

Don Pietro Palumbo- Mons. Fabio Maranta- Santa Visita-1583-Edizioni D’Amico Teano, 1970

Stanislao Femiano- Resti di villa di epoca romana presso San Giorgio- in “ Il Pino”- gennaio- febbraio 1984

Pignataro e il suo Patrono San Giorgio- Pignataro Maggiore, 2005

Giuseppe Marchione- “Architettura sacra a Pignataro Maggiore” in “ Le Muse, maggio-dicembre 2006

Antonio Martone- Storia di Pignataro in Età Moderna- Il Cinquecento- Edizioni Santabarbara, 2009

Antonio Martone- Storia di Pignataro in Età Moderna- Il Seicento ( prima metà), 2013

Antonio Martone- Storia di Pignataro in Età Moderna- Il Seicento ( seconda metà), 2017