Giorgio Napolitano e il ruolo del Sud nel processo unitario   

Il testo di Giorgio Napolitano  “Una e Indivisibile”  raccoglie i tanti interventi tenuti in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, in cui l’ex presidente della Repubblica, uomo del Sud,  colse ogni occasione per promuovere la valenza essenziale del Risorgimento, facendo anche “ riferimento ai passaggi più controversi” senza operare rimozioni o censure e non privilegiando una rappresentazione “acritica o addirittura agiografica”.  Purtuttavia, sono da respingere  decisamente le tendenze di coloro, “ le cui tesi non vale nemmeno la pena di commentare”, e che si dedicano ad un “nostalgico idoleggiamento del Regno Borbonico”, che si accompagna ad una grossolana  denigrazione della straordinaria figura di Garibaldi.

Gli appassionati interventi  raccolti nel testo fanno riferimento ad una ricca e varia storiografia  che ha analizzato con competenza  i vari momenti del percorso che portò all’Unità.

Per l’ex Presidente della Repubblica non vi fu  alcuna “conquista” del Mezzogiorno, mentre è più che pacifico che il Mezzogiorno fu “soggetto attivo e determinante del processo che condusse all’Unità d’Italia”. Il Mezzogiorno- scrive Giorgio Napolitano – “si era aperto la strada verso la conquista della libertà con il suo Quarantotto e con il sostegno all’impresa di Garibaldi”. Il Mezzogiorno, come ha insistito lo storico Giuseppe Galasso, conquista sul campo attivamente la sua liberazione dal Regno borbonico già dopo i moti del 1820 e da allora, da quell’anno, in maniera graduale ma decisa, attua la sua “ liberazione”. Pur in un’incontestabile egemonia moderata, la componente democratica del movimento risorgimentale ebbe un “ ruolo cruciale nella liberazione dell’Italia meridionale”.

La scelta che s’impose di un’annessione tramite plebiscito non può condurre a “ definire il Mezzogiorno come oggetto di una “conquista”, dato che il Sud diede il suo contributo notevole durante un lungo percorso in cui si mostrò “ soggetto attivo e determinante del processo che condusse allo Stato nazionale unitario”.

Anche nei due anni decisivi del 1859 e del 1860  si rimarca l’apporto rimarchevole  del Sud all’Unità ”, anche se, ancor prima della proclamazione del Regno d’Italia, si commise l’errore, tramite il decreto del novembre 1860, di sciogliere l’esercito meridionale e licenziare la maggior parte dei volontari.

Inoltre, riguardo alle problematiche politiche ed economiche che emersero dopo l’Unità, si sarebbero avuto riflessioni e iniziative, che avrebbe condotto i maggiori esponenti della “ lunga fase del meridionalismo” a produrre  inchieste, analisi, polemiche e proposte politiche. Giorgio Napolitano fa riferimento, in particolare, a Giustino Fortunato: “ Quel che della posizione di Giustino Fortunato interessa richiamare in questo momento è il combinarsi di un incrollabile attaccamento alla causa dell’unità”, per cui, nonostante degenerazioni e delusioni, egli ebbe a scrivere nel 1898 quanto fosse necessario difendere ad ogni costo l’Unità: “Qualsiasi attenuazione del vincolo unitario segnerebbe l’inizio della comune perdizione”.

Nel capitolo “ Il ruolo cruciale della Sicilia”, Napolitano sottolinea altresì come già  la rivoluzione Siciliana del 1848, prima rivolta dei moti rivoluzionari in tutta Europa, aveva espresso l’aspirazione  del popolo siciliano di  affrancarsi dal Regno delle Due Sicilie. Nell’aprile del 1860, la rivolta della Gancia, pur repressa duramente,  infuse fiducia a Garibaldi per la Spedizione dei Mille grazie anche all’opera dei siciliani Francesco Crispi, Rosolino Pilo e Giuseppe La Masa. “ I dubbi, le esitazioni di Garibaldi fino alla vigilia della  partenza da Quarto riflettevano la sua convinzione che non si potesse correre il rischio di un nuovo disperato tentativo di azione armata nel Mezzogiorno, in vista di una sollevazione rivoluzionaria, che, come quella guidata nel 1857 da Carlo Pisacane, fallisse tragicamente anche per l’ostilità incontrata nella popolazione.”

L’ autore dedica anche un capitolo a Cavour, respingendo parimenti la tesi di coloro che stentano ad interiorizzare lo slancio ideale di un riformatore liberale, che in momenti topici avrebbe  desiderato l’Unità nella maniera in cui realisticamente si sarebbe realizzata in tali contingenze storiche. Ne costituisce prova  la sua decisa volontà espressa più volte di volere che Roma fosse la capitale. L’ obiettivo di Cavour di “Libera Chiesa in Libero Stato” è la testimonianza che Cavour non aveva dubbi che Roma dovesse essere il luogo del Parlamento Nazionale. Giorgio Napolitano riporta le parole chiare, limpide del suo discorso in Parlamento già a fine marzo 1861 allorché ebbe a dire in maniera decisa: “Perché noi abbiamo il diritto, anzi il dovere di chiedere, d’insistere perché Roma sia riunita all’Italia?  Perché senza Roma Capitale d’Italia, l’Italia non si può costituire“.

Napolitano scrive che “ ben vengano, in Italia e fuori Italia, tutte le iniziative volte a ristabilire giudizi storici ben fondati sui fatti e sui protagonisti del movimento per l’Unità”. D’altronde alcuni di tali protagonisti si sarebbero collocati all’opposizione della Destra Storica, che fu al governo dal 1861 al 1876.

Ciò che non ha senso, dopo che entrammo quale Nazione nella modernità tra l’Ottocento e il Novecento, è “qualsiasi concessione a nostalgie dell’Italia pre-unitaria e dei singoli Stati e regimi in cui essa era divisa”.