E’ di Giovanni Romeo la prefazione del testo di Antonio Martone dedicato alla storia di Pignataro nel Secondo Seicento, anche perché merito e fortuna dello storico locale di Pignataro Maggiore fu il rinvenimento degli Acta Criminalia relativi al Seicento nell’ex archivio del palazzo vescovile di Pignataro Maggiore. Gli Acta criminalia consistono in vari fascicoli dei processi riguardanti soprattutto il clero, e come è noto, Giovanni Romeo, con Nicola Mancino, ha dedicato un lavoro storico al clero criminale nell’età della Controriforma.
Tuttavia lo storico Giovanni Romeo non si limita, nella presentazione, a dare atto ad Antonio Martone di aver riportato alla memoria tanti fascicoli riguardanti la criminalità di cui era protagonista il clero, che pur costituisce una consistente parte del lavoro di ricerca, ma ripercorre criticamente l’intero volume nel suo insieme, premettendo che per Acta Criminalia, in tale periodo storico, era da intendersi un atto criminale grave quale un omicidio, un ferimento grave con rissa come anche un semplice litigio, una mera ingiuria e casi di concubinato.
Giovanni Romeo rileva che, ancora più ricco dei precedenti volumi sul Cinquecento e sul Primo Seicento, si presenta il volume sulla seconda parte del Seicento, in cui “il quadro della vita quotidiana si fa più decisamente più vivace”. Dopo un’analisi del quadro storico del Regno, una prima serie di ricerche archivistiche e di analisi storica concerne la trattazione dell’istituzione dei Seminari, tra cui quello di Calvi, la residenza del vescovo a Pignataro e l’istituzione dell’ “Hospitale” per uso e comodità dei poveri, nonché per i viandanti e i pellegrini. Ciò costituisce una premessa per una disanima della condizione dei poveri nella Diocesi di Calvi nell’anno 1689. Un capitolo è dedicato alla vita amministrativa del casale di Pignataro in tale seconda parte del Seicento, prima dello studio pur esso dettagliato delle conseguenze che ebbe la terribile peste del 1656 nel Regno di Napoli in relazione non solo alla realtà comunitaria di Pignataro, ma dell’intera Diocesi di Calvi. Il Casale di Pignataro fu in tale anno duramente provato dalla peste, la quale si mostrò molto devastante per Pignataro, a tal punto che nel 1658, la popolazione avrebbe contato dai 544 ai 680 abitanti rispetto ai 1060, che contava fino a qualche anno prima della peste. A tal riguardo, tuttavia, lo storico Giovanni Romeo rileva come “ in un paese segnato duramente dalla peste come l’autore dimostra grazie alle relazioni vescovili ad limina Petri e ad altra documentazione, l’amministrazione comunale era molto attenta a sfruttare al meglio le proprie modeste risorse”. Interessanti si rivelano, altresì, per il casale di Pignataro le informazioni fornite sulla scuola pubblica e sulla predicazione di vari sacerdoti in tale periodo storico. Inoltre lo “status animarum” consente di conoscere l’entità della popolazione di Pignataro nel 1687 e una dettagliata analisi dei 65 “Casati” presenti in tale anno.
La consistente parte finale del testo è dedicata agli “Acta Criminalia” con vari fascicoli dei processi, che consentono anche di conoscere aspetti della vita sociale del casale di Pignataro. Riguardo ai delitti più efferati, quali gli omicidi, Giovanni Romeo evidenzia che la ricerca di Antonio Martone si pone “ in linea con tendenze ben documentate nell’Italia del Sei- Settecento, non solo nel Sud con il dato relativo agli omicidi a Pignataro tra il 1680 e il 1693: su 13 ammazzati ben tre sono preti. E vanno nella stessa direzione i ripetuti richiami dei visitatori agli ecclesiastici della diocesi, che per tutto il tardo Seicento sono invitati al rispetto delle regole in materia di abiti e capigliature fluenti, nonché, elemento ancor più indicativo, al divieto di incedere armati”. Si pone nel contempo in evidenza “ l’impotenza dei vescovi riformatori dinanzi ai comportamenti autoritari e violenti del clero”. Infatti, nell’anno 1679 vescovo di Calvi era diventato Vincenzo Maria de Sylva, “ domenicano intransigente, forse sensibile allo spirito di riforma di papa Innocenzo XII”. Nonostante l’opera rigorosa e severa di Mons. De Sylva, a distanza di un anno dall’insediamento del nuovo vescovo di Calvi, si verificherà, nell’aprile del 1680 ciò che Antonio Martone definisce “l’episodio più truce: l’uccisione del Giudice don Francesco Ulloa, vicario generale della Diocesi di Carinola, e del suo servitore, vittime di una vera e propria banda, capeggiata da Don Antonio D’Iorio, un prete di mala vita, e dai suoi fratelli”.
Bibliografia: Antonio Martone- Storia di Pignataro in Età Moderna- Il Seicento (seconda metà) Giuseppe Vozza Editore, 2017