Il 1848 di Rosa Donato, messinese donna del popolo

Come è noto, fu a Palermo, con i moti scoppiati il 12 gennaio 1848, che si diede avvio all’anno delle rivoluzioni in gran parte d’Europa. Al seguito di Rosolino Pilo e Giuseppe La Masa, il popolo di Palermo fu il primo a rivendicare i diritti costituzionali. Dopo qualche difficoltà iniziale, il 24 gennaio 1848 Palermo riuscì ad ottenere il primato di liberarsi per otto mesi dal vecchio Regime, affermando i diritti costituzionali. Alla notizia della sollevazione di Palermo insorsero anche Messina, Catania, Agrigento, Caltanissetta e Termini Imerese.  In quell’occasione Giuseppe La Masa fece sventolare, per la prima volta, il tricolore italiano. Conseguentemente un governo provvisorio e una costituzione più avanzata di quella del 1812 sancirono la prima clamorosa vittoria della rivoluzione quarontottesca in Italia.

Tra le donne si distinse in particolare Rosa Donato, una coraggiosa messinese che si unì alle schiere dei rivoltosi, donando il suo apporto meritevole ai liberali e ai rivoluzionari della sua città.

Rosa Donato è poco conosciuta, in quanto il suo nome è stato per anni solo associato ad un altro eroe messinese, Antonio Lanzetta, che, il 29 gennaio riuscì a collocare su un carrettino trainato a mano un cannone arrugginito sottratto ai soldati borbonici, con il quale, aiutato da Rosa Donato, si riusciva a tenere a bada un buon numero di soldati della reazione.

Fu, invece, Rosa Donato, nata a Messina nel 1808, a fornire le braccia per trainare quel carretto per un buon tratto di strada. Durante le giornate di quei mesi di resistenza della rivoluzione messinese del 1848 accadde che Rosa, che si era sposata giovanissima con uno stalliere rimase vicina, “attaccata notte e giorno al suo cannone alla batteria dei Pizzillari“, situata vicino al torrente Portalegni, mostrando le sue attitudini di grande combattente per la libertà.

Solo quando si rese conto che anche l’ospedale di Messina veniva minacciato dal fuoco delle truppe borboniche, Rosa raggiunse la batteria presente nel quartiere San Giacomo, incoraggiando ed incitando gli artiglieri in quella lotta impari, ma dove la forza degli ideali si mostrava in tutto il suo coraggio. Decise di dare anche lei fuoco alle polveri e, nello strisciare carponi riuscì a salvarsi mentre tutto intorno divampava il caos dei combattimenti.

Rosa Donato ebbe l’intuizione di fingersi morta e solo in tal modo riuscì a salvarsi. Non paga del suo apporto e del rischio della vita a cui si era più volte esposta, raggiunse la città di Palermo, tornando a combattere sulle barricate.

Gli otto mesi di resistenza all’antico regime terminarono e la restaurazione costò ben un anno e tre mesi di carcere a Rosa, la quale, durante tale detenzione, fu più volte torturata affinché facesse delle rivelazioni. Liberata dalla prigione, visse di stenti solo con l’aiuto di quella parte della popolazione che si ricordava di lei.

Anche dopo l’Unità d’Italia a Rosa non fu tributato alcun riconoscimento; anzi fu gradualmente dimenticata e costretta all’elemosina. Doveva rivelarsi ancora lungo il percorso delle donne per la loro emancipazione. Morì nel 1867 quando aveva 59 anni.

Per ricordarne le gesta lo scultore Vincenzo Gugliandolo scolpì nel 1893 un suo busto in marmo, custodito all’interno del Banco di Sicilia di Messina. Virgilio Saccà incise in via Primo Settembre a Messina una lapide che recita: “Dina e Clarenza eroine della Guerra del Vespro, ebbero nel 1848, su questa via e al Forte dei Pizzillari, emula gloriosa, l’artiglieria del popolo Rosa Donato“.

In anni recenti anche gli studenti siciliani che collaborarono con il sito web di RepubblicaScuola le dedicarono delle belle parole, e il ricordo dei giovani è il migliore modo di recuperare la memoria delle grandi donne degli ideali della storia risorgimentale, per i quali Rosa Donato si era tanto sacrificata, in considerazione anche della condizione delle donne del popolo in quegli anni.



Bibliografia:

Bruna Bertolo- Donne del Risorgimento- Ananke- 2011