
Dopo aver scritto la “ Laus Catonis” per omaggiare lo stoico repubblicano nello stesso anno del suicidio di Catone Uticense, Marco Tullio Cicerone, nell’opera retorica “ De Oratore”, si rivolgeva a Marco Giunio Bruto rimarcando: «Non l’avrei mai scritta per timore di tempi non del tutto propizi alla virtus, se non avessi ritenuto criminoso disobbedire a te che mi esortavi a scrivere e che destavi il suo ricordo a me così caro. Ad ogni modo attesto che io ho osato scrivere quell’ opera perché, pur riluttante, ne sono stato da te richiesto. Desidero infatti che tu condivida con me le accuse che saranno mosse: di modo che, se sarò stato in grado di reggere una così seria istruttoria, la colpa di aver imposto un fardello troppo impegnativo tocchi a te, a me quella di aver accettato. E tuttavia in tutta questa vicenda l’elogio che mi spetta per aver accettato un’incombenza che viene da te compenserà l’errore di valutazione da me commesso, accettandolo.”
Aulo Cecina, a suo tempo combattente a fianco di Pompeo, e in tali buoni rapporti con Cicerone da potersi rivolgere a lui con assoluta sincerità, lo rimproverava duramente, scrivendo: “Nell’ Oratore tu ti copri dietro il nome di Bruto e così cerchi di avere un complice per giustificare te stesso.”
Luciano Canfora scrive che, dopo l’assassinio di Cesare, intervenendo in Senato il 19 settembre 44 a.C. , Marco Antonio pronunciava una dura accusa: “Marco Bruto, che qui nomino per manifestargli tutta la mia deferenza, sollevando il pugnale ancora macchiato del sangue di Cesare, invocò il nome di Cicerone e gli rese grazie per la restaurata libertà”. Antonio, quindi, insinuava che Cicerone non solo fosse stato “consapevole” della congiura contro Cesare, ma di esserne stato addirittura “ promotore”.
Riguardo alla lettera indirizzata da Cicerone ad Attico il 27 aprile 44 a.C., allorché scrive di “ gioia assaporata con gli occhi per la giusta morte del tiranno”, Luciano Canfora evidenzia “ che non significa necessariamente che Cicerone fosse presente al momento dell’attentato. Quelle parole si giustificano con il senso che Cicerone, come tanti, sia sopraggiunto nella Curia, oppure possono riferirsi a qualunque altro momento successivo fino all’esequie del dittatore.”
Marco Antonio, nel discorso del 19 settembre 44 a.C. in Senato, aveva insistito con abilità sulla responsabilità morale, e non solo, di Cicerone nella congiura, determinando un grave scontro. Infatti, nella seconda Filippica, pubblicata qualche mese dopo, Cicerone avrebbe immaginato con “ freddo sarcasmo” di dire in faccia ad Antonio: “ Se il pugnale quel giorno fosse stato il mio, credimi, non avrei recitato un atto solo, ma l’intero dramma”.
Luciano Canfora rileva che, nella definizione della “ vexata questio” di Marco Tullio Cicerone quale complice organizzativo della congiura, si mostra decisamente “più importante” la lettera che Cicerone scrive in privato a Cassio, nella quale rimarca “ Questo pazzo di Antonio pretende che io sia stato il promotore, il princeps della vostra stupenda azione. Ma lo fossi stato davvero, lui non sarebbe stato qui vivo a tormentarci.”
In effetti, un intellettuale politicamente “ sofferente” sotto la dittatura di Cesare, qual è Cicerone, usa le parole con una violenza che Canfora definisce “ puramente immaginata” . Gli intellettuali, tuttavia, continua lo storico, “sono estremisti e drastici nel campo dell’immaginario soggettivo; non sempre capiscono le implicazioni materiali, le conseguenze fattuali delle loro parole; non sempre prevedono che altri, prendendole alla lettera, volgerà in atti, in fatti le loro parole.”
Era pur sempre “una guerra di parole” quella che Cicerone aveva ingaggiato contro Cesare e che aveva avuto inizio con la Laus Catonis.
Bibliografia:
Luciano Canfora- Giulio Cesare- Il dittatore democratico- Laterza, 2006- Capitoli XXVIII (Anticato) e XXXVII ( Cicerone promotore della congiura? )
