La Resistenza del Fronte Militare Clandestino di Roma

Nel dopoguerra l’apporto  del  Fronte Militare Clandestino di Roma alla Resistenza nazionale fu alquanto sottovalutato e  non ebbe quella giusta collocazione nella storia della “Liberazione”. Come scrive Mario Avagliano, autore del saggio storico “ Il Partigiano Montezemolo”, nei primi cinquant’anni  della storia della Repubblica,  la storiografia italiana aveva identificato la Resistenza italiana quasi esclusivamente con la guerriglia in montagna delle forze partigiane contro i reparti tedeschi e della Rsi, oppure con le azioni  e i sabotaggi compiuti in città dai Gap e dalle Sap. Negli ultimi vent’anni, invece, il ruolo del Fronte Militare Clandestino  di Roma è stato analizzato e portato alla luce, sia in relazione  sua consistenza che  a ben mirati obiettivi. Nella sola città di Roma furono censiti 16.500 aderenti, tra ufficiali, soldati e civili, anche se, secondo le stesse fonti militari, fu di 2300 l’entità di coloro che furono attivi in prima linea nella guerra di Liberazione nella capitale. Obiettivi del “Fronte” furono la cooperazione dal punto di vista prettamente militare, svolgendo azioni di controspionaggio, preparando e compiendo azioni di sabotaggio e anti-sabotaggio, svolgendo azioni di propaganda e  assicurando l’ordine nella città di Roma  nella preparazione al momento dell’ evacuazione   delle truppe nazifasciste dalla città. Il Fmcr si mostrò altresì attivo nell’aiutare gli ex prigionieri alleati e gli ebrei che erano sfuggiti alla retata del 16 ottobre 1943, condotta dalle SS contro la comunità israelitica di Roma. Pretestuosi si sono rivelati i tentativi di insinuare contrasti e contrapposizioni tra il Fmcr e i partigiani di sinistra. Ottimi rapporti erano intrattenuti, invece, sia con Ivanoe Bonomi, presidente del Comitato di Liberazione Nazionale da parte dello stesso colonnello Montezemolo E’ stato Giuseppe Capobianco, nel testo Il recupero della memoria a dare il primo giusto rilievo alla figura di Antonio Iannotta (Pignataro Maggiore, 6/6 1907- Roma 22 marzo 1958), e alla sua attività durante la Resistenza, scrivendo: “ Altre due medaglie d’oro sono state concesse ai nostri conterranei che possono essere accomunati, avendo entrambi partecipato alla resistenza romana: si tratta del Maggiore dei Carabinieri Ugo De Carolis, nato a Caivano, ma di famiglia sammaritana e del Capitano Antonio Iannotta, nato a Pignataro Maggiore”.

Capobianco  ha riportato la motivazione della medaglia: “Ufficiale di complemento, combattente valoroso dell’attuale guerra, dopo l’8 settembre 1943 manifestò subito decisa e superba volontà di lotta contro l’oppressore nazifascista.Impareggiabile nell’organizzazione della lotta clandestina di cui è stato tra i massimi e fattivi esponenti, in strettissimo contatto con tutte le forse della Resistenza, magnifica figura della guerra partigiana dell’Italia centrale, ha dimostrato in innumerevoli episodi di valore, nella dura vicenda dell’occupazione, eccezionale coraggio e dedizione incondizionata alla santità della causa. Ricercatissimo dal nemico che ne temeva capacità ed ardire, vivendo per mesi tra fucilazioni ed arresti, sprezzante di ogni pericolo, presente in ogni rischio ed in ogni incitamento, ha dato alla Patria, con l’esempio e l’azione, grandissimo apporto di eroiche e memorabili gesta. Leggendaria figura della lotta partigiana”.Una motivazione completa, a cui Capobianco ha aggiunto un commento personale: “Iannotta è tra i pochi decorati con Medaglia d’Oro concessa in vita. Egli ha fatto parte delle formazioni dei patrioti sorte a Roma per l’iniziativa del Comando Supremo dell’Esercito. Dopo l’arresto e la fucilazione alle Fosse Ardeatine del comandante dell’organizzazione, il Colonnello dei Carabinieri Giuseppe Montezemolo, ed in seguito alle difficoltà di movimento per il Colonnello De Michelis, Iannotta diviene il principale organizzatore dell’attività clandestina di quel nucleo che era rimasto dell’esercito italiano nella Capitale. Egli seppe proteggere e rilanciare le varie formazioni: 110 bande composte da 16.743 militari. Rappresentò, perciò, il fiore all’occhiello dello Stato Maggiore delle Forze Armate che ne avanzò la proposta e la sostenne” .

Antonio Iannotta fu ammesso a frequentare il corso Allievi Ufficiali di complemento dal 1 novembre del 1930. Nel 1936 fu promosso Tenente e l’8 settembre 1936 si trasferì a Roma. Nel luglio del 1938 partì volontario per la Spagna, ove rimase fino al 31 marzo del 1939, poiché l’intervento italiano a fianco dei Nazionalisti del generale Francisco Franco non fu di carattere ufficiale, ma su basi volontarie in relazione alle decisioni non interventiste della comunità internazionale. Comunque l’Italia inviò ai Nazionalisti mezzi militari e logistici. Ad Antonio Iannotta fu assegnato il Reggimento di Artiglieria Divisione “Frecce Azzurre”, comandato dal Colonnello La Ferla. Fu successivamente richiamato alla vigilia dello scoppio della seconda guerra mondiale. Dal 2 marzo 1941 al 11 aprile 1942 fu in Albania. Dopo il rimpatrio, fu assegnato al Comando del XVIII Corpo d’Armata, ove conseguì la promozione a Capitano.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre fu uno dei primi ad entrare nel Fronte militare clandestino, fondato dal colonnello di Stato Maggiore Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo. Iannotta fece parte del Comando Raggruppamenti Patrioti dell’Italia Centrale, diretto dal colonnello Ezio De Michelis, che comprendeva i reparti del Lazio, dell’Umbria, delle Marche, dell’Abruzzo e della Toscana. ll colonnello De Michelis fu colpito dai sentimenti antifascisti manifestati dal nostro capitano e lo ritenne  molto utile alla causa perchè “pratico dell’ambiente politico romano, sagace, coraggiosissimo”. Affinché si potesse sfuggire ad eventuali denunce, il colonnello De Michelis dispose che ogni suo ufficiale assumesse uno pseudonimo. Così Iannotta diventò l’avvocato Jannini. Oltre ad avere il compito di procurare i sovvenzionamenti per la Resistenza del Fronte Militare Clandestino, il capitano addestrava i militari all’uso dell’esplosivo per le azioni di sabotaggio e di propaganda. Per tali azioni diventò uno dei maggiori ricercati dai Nazisti insieme al comandante Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo.

Dopo la cattura del colonnello Montezemolo, nemico numero uno di Herbert Kappler il 25 gennaio 1944, fu lo stesso Kappler ad occuparsi del trattamento da riservare al prigioniero affinché rivelasse le identità dei due capibanda Bianchi e Jannini, rispettivamente il colonnello Ezio De Michelis e il capitano Antonio Iannotta. “Fra le poche notizie che ebbi da mio fratello dalla prigione di Via Tasso- ha ricordato Renato Montezemolo in una relazione del luglio 1944- ricevetti l’indicazione che parte delle torture che gli erano state inflitte avevano per scopo di fargli rivelare indicazioni atte a far arrestare i due capibanda Bianchi e Giannini (colonnello De Michelis e capitano Jannotta), che potei perciò preavvisare. Quindi si mostra prezioso il preavviso del fratello del colonnello Montezemolo al capitano Antonio Iannotta affinché si mostri più cauto negli spostamenti, dato che le SS stanno cercando di far rivelare al colonnello Montezemolo la sua identità”. Iannotta aveva in quel momento il ruolo importante e delicato di capo di Stato Maggiore del Comando Raggruppamenti Patrioti Italia Centrale con alle dipendenze dirette una particolare formazione “La Pilotta”, che esplicava ruoli rilevanti nella resistenza militare. Il nucleo iniziale era costituito da trenta militari fra ufficiali, sottufficiali e truppa, ma in breve tempo raggiunse una consistente forza di duecento militari effettivi di cui gli ufficiali avevano assunto uno pseudonimo, giurando di non rivelare mai, in caso di cattura, l’identità degli uomini del Fronte Militare Clandestino. Pertanto il capitano Antonio Iannotta era un ricercato speciale, la cui identità Kappler voleva fosse svelata dal colonnello Montezemolo, considerati  i ruoli che la formazione di Iannotta svolgeva, tra cui il rifornimento di uomini, di armi, di munizioni a tutte le altre bande, l’assistenza morale agli affiliati, la propaganda e le missioni di soccorso. Pertanto da parte di Kappler individuare il capobanda Giannini si rivelava prioritario per la sconfitta del fronte militare clandestino.

Scrive testualmente lo storico Mario Avagliano: “In realtà, nei 58 giorni di detenzione, Montezemolo subisce a più riprese snervanti interrogatori e terribili torture. Nella camera adibita agli interrogatori , gli aguzzini nazisti lo tormentano a suon di calci e scudisciate. Ma lui non parla. Mantiene il riserbo sugli altri membri del Fronte Militare Clandestino.” In effetti in quei 58 giorni, prima dell’uccisione barbara alle Fosse Ardeatine, il colonnello Montezemolo subì un vero e proprio calvario e, nonostante ciò, “incitava i propri compagni ad avere fede nei destini della Patria, parlando della morte che lo attendava con familiarità e serenità sconcertanti.” . In quello scorrere dei giorni, tra momenti di serena attesa della morte e di torture tramite mazzuoli, cavalletti con sottili fili di acciaio, flagelli, verghe di ferro, il colonnello Montezemolo non rivelò i nomi dei suoi camerati.Dopo la prima settimana di febbraio, finalmente la famiglia di Montezemolo riuscì ad avere notizie riguardo alla sua detenzione nel carcere di via Tasso. La famiglia nulla poteva. Kappler era determinato nell’odio e attendeva solo il momento per poterlo fucilare, ma Montezemolo si mostrava  “eroico” nel non rivelare le preziose notizie sull’identità di Bianchi e Giannini. La situazione precipitò dopo l’attentato di Via Rasella e il colonnello Montezemolo trovò la morte nella rappresaglia delle Fosse Ardeatine. Fu uno dei 335 dell’eccidio delle Fosse Ardeatine e morì gridando: Viva l’Italia!  

Il capitano Antonio Iannotta, ricordò per sempre quei momenti e fino alla morte fu riconoscente al colonnello Montezemolo che a costo della vita non aveva mai rivelato il suo nome.

Bibliografia:

Giuseppe Capobianco- Il recupero della memoria- Edizioni Scientifiche Italiane, 1995

Mario Avagliano, Il partigiano Montezemolo, Milano, 2012