Lo scontro tra i Regni borbonici d’Europa e papa Clemente XIII

BERNARDO TANUCCI

Negli primi anni di metà Settecento le Corti borboniche di Francia, Portogallo, Spagna e Napoli avevano recepito lo spirito riformista degli intellettuali dei rispettivi Regni.  In relazione al Regno di Napoli, come ha rilevato Antonella Orefice « è’ indubbio che Carlo di Borbone riuscì a dare un nuovo impulso economico e politico al Regno, grazie alla collaborazione dello spagnolo Josè Joaquin Guzman del Montealegre, nominato Segretario di Stato, di formazione culturale riformatrice. » Al nuovo re spettavano compiti gravosi, tra cui ridimensionare il potere feudale, limitare l’ingerenza della Chiesa e migliorare la qualità di vita dei suoi sudditi. Il nuovo Segretario di Stato, per attuare le sue idee, si circondò di  valenti collaboratori, tra i quali, oltre a quelli autoctoni del mondo accademico del Regno, Celestino Galiani e Antonio Genovesi, è da annoverare la presenza rilevante del toscano Bernardo Tanucci. L’ opera riformatrice del giovane Carlo si collocava, pertanto, nel contesto del riformismo illuminato che «in molti paesi d’Europa, sotto lo stimolo e l’influenza dei grandi intellettuali illuministi, preparava una radicale trasformazione della società.»

Quando nel 1758 Carlo III fu richiamato in Spagna per succedere a Filippo V, trasmise la corona al figlio Ferdinando che aveva solo otto anni. Pertanto ci fu un Consiglio di Reggenza, di cui faceva parte l’anticuriale toscano Bernardo Tanucci. Il Tanucci si proponeva di costruire un grande Regno nell’Italia meridionale tramite un riformismo politico-giuridico e una passione mirata a ridimensionare decisamente le antiquate prerogative feudali del clero per avviarsi, con la dovuta gradualità, verso la realizzazione di un moderno Stato laico.

In effetti, le Corti borboniche, prima in Portogallo nel 1759, poi in Francia nel 1761 e successivamente in Spagna nel 1767, avevano deciso l’espulsione dei Gesuiti dai loro Stati per la potenza e la ricchezza acquisita. Dopo Madrid la storia si ripeté a Napoli, dove il toscano Bernardo Tanucci e il nuovo re Ferdinando IV si erano espressi per la la necessità di un   provvedimento simile a quello adottato dalle varie Corti borboniche d’Europa, con conseguente espulsione di quasi seimila gesuiti presenti nel Regno di Napoli.

Anche il Ducato di Parma, a partire dall’anno 1764 aveva limitato alcuni privilegi ecclesiastici, tra cui quello concernente i beni della manomorta e la perequazione degli incarichi pubblici. Fu, tuttavia, la legge del   16 gennaio 1768, che proibiva ai sudditi del Ducato di Parma la possibilità di ricorrere ai tribunali romani,  a provocare la dura reazione di Clemente XIII. Il 30 gennaio 1768, il papa emanava l’editto Alias ad Apostolatus, più conosciuto come Monitorio di Parma, tramite il quale annullava i decreti ecclesiastici recentemente emanati in materia dallo Stato di Parma e minacciava la scomunica per il duca Fernando, nipote di Carlo III di Borbone, di Luigi XV di Borbone e per i suoi ministri.

Il “Breve” papale fu accolto dapprima con sorpresa dalle Corti borboniche di Francia, Spagna e di Napoli, ma la risposta politica del duca Fernando giungeva il 6 e 7 febbraio 1768 , allorché fu eseguito “con indicibile tranquillità” lo sfratto di tutti i Regolari della Compagnia di Gesù dai possedimenti del Duca di Parma. Si trattava dell’espulsione di circa 170 religiosi che avrebbe avuto come conseguenza l’inizio di una dura contesa  tra le Corti borboniche e la Santa Sede.

Tuttavia, se Luigi XV di Francia e Carlo III Spagna era determinati anche a porre in atto una “rappresaglia” nel caso in cui Clemente XIII non avesse ritrattato il Monitorio di Parma, ben più prudente si mostrava al riguardo a Napoli Bernardo Tanucci. Infatti, dopo aver evidenziato che il Monitorio di Parma era “un impasto di massime strane, non cristiane, orgogliose e sediziose”, il Tanucci proponeva di scegliere il silenzio in attesa degli eventi. Inoltre, invitava a non temere la scomunica di Fernando I di Parma, in quanto, come scriveva il 9 febbraio 1768 a Carlo III di Spagna, la minaccia non avrebbe prodotto alcun effetto.

Carlo III non diede ascolto ai consigli di Bernardo Tanucci, e Il 1° marzo del 1768 Jeronimo Grimaldi, segretario di Stato spagnolo, informava il Tanucci riguardo alle «rappresaglie” da adottare in caso i Romani “si ostinino a mantenere il Monitorio contro la Corte di Parma

Inoltre, in seguito ad una decisione del Consiglio delle Corti Borboniche europee, si ordinava che il re di Napoli Ferdinando IV prendesse le precauzioni opportune per occupare le città di Benevento e di Pontecorvo, mentre le truppe francesi avrebbero occupato la città di Avignone. Carlo III di Spagna esprimeva anche l’augurio che suo figlio Ferdinando IV non si discostasse dal Piano che il suo “Augusto Padre” aveva adottato.

La decisione di occupare le città papali di Benevento, Pontecorvo e Avignone fu accettata con molte riserve da Tanucci, il quale si prodigò senza successo affinché il re di Spagna e i suoi ministri si convincessero dell’inutilità e dell’inefficacia della soluzione proposta. Quel tipo di rappresaglia, secondo Bernardo Tanucci, non avrebbe provocato alcun cambiamento nella politica di Roma. Al contrario, «sarà compatita dalle papali che avranno veduta chiaramente l’invasione e farà la Chiesa figura compassionevole d’oppressa.» Quella rappresaglia avrebbe rischiato, a parere di Tanucci, di presentare la Corte romana di fronte all’opinione pubblica come vittima e offesa.

Comunque, Carlo III di Spagna e Luigi XV di Francia avevano preso la decisione delle occupazioni che sarebbero state messe in atto l’11 giugno, dopo la solennità del Corpus Christi e per non turbare il matrimonio di Ferdinando IV con l’arciduchessa d’Austria Maria Carolina. Dopo l’occupazione delle tre città papali nella prevista data dell’11 giugno, in relazione alle città di Benevento e Pontecorvo, occupate dalle truppe napoletane, il ministro Tanucci dedicava il suo impegno a far sì che negli editti di annessione non comparisse il termine “rappresaglia”. 

Tuttavia, il 13 dicembre arrivava a Napoli una lettera di Jeronimo Grimaldi, il quale informava Bernardo Tanucci della decisione del re di Spagna Carlo III di chiedere al pontefice Clemente XIII l’estinzione della Compagnia di Gesù. La notizia provocò sconcerto in Tanucci, in quanto riteneva che, nelle trattative finalizzate all’estinzione della “Compagnia”, le abilità di trattare della Corte romana avrebbero avuto come conseguenza la rinuncia da parte della Spagna e della Francia ad un programma riformatore più ampio, a cui il Tanucci stava dedicando i suoi propositi.

Nonostante ciò, dopo l’espulsione dei Gesuiti dai due terzi delle Nazioni cattoliche, vale a dire dal Portogallo, Francia, Napoli, Parma ed infine da Malta, con altre nazioni che avrebbero seguito l’esempio, la “Compagnia”, secondo il parere del Tanucci, sarebbe scomparsa “naturalmente” senza sacrificare un più vasto progetto riformatore nel Regno di Napoli.

Le trattative tra le Corti borboniche e la Santa Sede portarono nel 1773 all’estinzione della Compagnia di Gesù, ma ebbero anche come conseguenza il mancato prosieguo di un più completo progetto riformatore nel Regno di Napoli. Infatti, da quel momento iniziò l’isolamento nel Regno di Napoli della linea politica del ministro Tanucci, che sarebbe stato rimosso nell’ottobre 1776 dal suo incarico e sostituito con l’inglese John Acton quando Maria Carolina d’Asburgo, moglie di Ferdinando IV, entrò a far parte del Consiglio di Stato. A quel punto la scelta per Bernardo Tanucci fu il ritiro a vita privata.

La Compagnia di Gesù fu soppressa nel 1773 da Clemente XIV, ma sopravvisse nei territori cattolici della Russia, grazie alla zarina Caterina II che non concesse l’exequatur al decreto papale di soppressione. L’ordine fu ricostituito successivamente  da papa Pio VII nel 1814.

Bibliografia:

A. Orefice, Eleonora Pimentel Fonseca. L’eroina della Repubblica napoletana del 1799, Salerno Editrice, Roma, 2019.

G. Cerciello, La estrategia antiromana de Bernardo Tanucci ante los acontecimientos de 1768, Università di Alicante, 2000.