Marco Antonio e la congiura contro Cesare del 45 a.C.

Luciano Canfora scrive che, dopo l’assassinio di Cesare, intervenendo  in Senato il 19 settembre 44 a.C. , Marco Antonio pronunciava una dura accusa: “Marco Bruto, che qui nomino per manifestargli tutta la mia deferenza,  sollevando il pugnale ancora macchiato del sangue di Cesare, invocò il nome di Cicerone e gli rese grazie per la restaurata libertà”. Antonio, quindi, insinuava  che Marco Tullio Cicerone non solo fosse  stato “consapevole” della congiura contro Giulio Cesare, ma di esserne stato addirittura il “ promotore”.

Cicerone, nella seconda Filippica, che contiene le orazioni di Marco Tullio Cicerone contro Marco Antonio,  avrebbe ricordato ad Antonio, quale forma di ritorsione, che  era stato lui piuttosto a rendersi partecipe di un vero e proprio progetto di assassinare Cesare l’anno precedente, poco dopo la battaglia a Munda del 17 marzo 45 a.C.

A cosa si riferiva propriamente Cicerone quando rivolgeva un’accusa così grave a Marco Antonio riguardo ad un disegno di uccidere Giulio Cesare in seguito ad una cospirazione dopo la  battaglia di Munda del 17 marzo 45 a.C.?

 Già nell’orazione Pro Marcello, pronunciata in Senato nella tarda estate del 46 a.C., Marco Tullio Cicerone  “incitava i senatori a vigilare e a proteggere  Cesare da eventuali congiure” e, rivolgendosi direttamente a Cesare,  lo metteva in guardia da un attentato  “ magari maturato proprio tra le file dei  suoi”. Proseguiva dicendo che “ l’animo umano è pieno di pieghe e di doppi fondi, ed è perciò giusto che noi  accresciamo in te il sospetto perché così al tempo stesso accresceremo  il nostro zelo nel difenderti.” 

Luciano Canfora commenta che “non sono parole al vento in quanto si tratta di una sollecitazione che non può nascere dal nulla.” Inoltre, l’arringa ” Pro Marcello”, declamata in Senato, sarà redatta  successivamente a quella tarda estate del 46 a.C. , e nel prosieguo di tale orazione, l’ipotesi di una congiura viene prospettata a Cesare e al Senato come “ un’eventualità concreta e allarmante.

In effetti, dopo la  definitiva sconfitta di Pompeo,  Cesare si era attirato le antipatie  dei sostenitori della Repubblica, ma nel contempo non pochi malcontenti emergevano anche all’interno dello stesso partito “cesariano”, tra cui erano  annoverati i più fidati collaboratori di Cesare, Marco Antonio  e Gaio Trebonio

Nell’estate del 45 a.C. , specificamente nella Gallia Narbonese, Gaio Trebonio aveva cercato di attrarre anche Antonio in una congiura mirante ad eliminare Cesare, approfittando del fatto che Marco Antonio in quell’anno era “in freddo”  con Cesare. Marco Antonio aveva mostrato disagio e delusione dopo che Cesare aveva nominato  “magister equitem” Marco Lepido, incarico a cui Antonio aspirava. Inoltre Marco Antonio era stato escluso sia dalla campagna africana che da quella spagnola e serbava  risentimento per un’emarginazione così lunga. 

 Marco Tullio Cicerone ne approfitterà per mettere in atto la ritorsione contro Antonio: “Sappiamo tutti che a Narbona costui s’intese con Trebonio in vista di una tale  iniziativa”. Luciano Canfora scrive che “ proprio a Narbona nella tarda estate del 45 a.C. si comincia a tessere una trama per far fuori Cesare, uscito inopinatamente vivo anche da Munda. In quel momento i  congiurati hanno pensato che Antonio poteva essere coinvolto. Ciò si ricavava evidentemente dal suo atteggiamento o da quello che gli altri pensavano di lui. Marco Tullio Cicerone si mostra ben informato, con informazioni dettagliate,  grazie ad Aulo Irzio e allo stesso Trebonio.

Il resoconto di Plutarco si mostra molto più dettagliato  nella II Filippica e risale direttamente a Trebonio. Secondo tale rendiconto, Antonio e Trebonio  andavano incontro a Cesare che tornava dalla Spagna, e il loro dialogo avvenne mentre erano soli nella stessa tenda e nello stesso veicolo. Trebonio aveva parlato della congiura “con misura e precauzione” ed era certo che Antonio avesse ben compreso, pur “ lasciando cadere l’avance.”

Tuttavia, Antonio non si era mostrato leale in quanto non aveva rivelato nulla a Cesare, né denunciato nessuno.  Pertanto, dopo la congiura contro Cesare del 44 a.C., andata a buon fine, ad Antonio era stato ricordato, da parte di Cicerone, il suo imbarazzante  “ silenzio complice” del precedente anno 45 a.C. Dunque, si comprende come Marco Tullio Cicerone abbia potuto nella “II Filippica”, quale ritorsione, accusare Antonio di essere a conoscenza di una  congiura progettata in ambienti “ cesariani” durante l’interminabile campagna spagnola del 45 a.C.

Bibliografia:

Luciano Canfora- Giulio Cesare- Il dittatore democratico- Laterza, 2006.