Massimo Cacciari dà il titolo “Drammaticità della prossimità ” alle sue riflessioni sul massimo comandamento cristiano “ Ama il prossimo tuo come te stesso “, analizzando soprattutto la parabola evangelica del Buon Samaritano in cui ravvisa un parlare che non è sentimentalismo, ma è impregnato di tutto “ il senso aspro, del vino forte dell’amore evangelico” . In tal caso non si tratta di filantropia né di amore intellettuale in rapporto alla condizione umana ma di un amore incondizionato che supera anche la misericordia.
Infatti Cacciari definisce lo stesso termine “ misericordia “ un’esangue traduzione. Ciò che accade al Buon Samaritano nel vedere l’uomo percosso e derubato dai briganti è “ un cuore che si spacca” , “ le viscere che gli scoppiano in pezzi”. Quell’uomo mezzo morto a terra colpisce il cuore del Buon Samaritano e deve dare risposta, perché il suo essere si è identificato con la persona colpita e abbandonata, e non lo fa perché attende una ricompensa: l’agire del Samaritano non si pone in rapporto ad una contropartita di alcuna natura. La sua sofferenza è quella dell’uomo lì a terra. In tal modo Gesù. secondo Cacciari, apporta un concetto di Amore fino allora sconosciuto al mondo classico.
Tutte le parole che erano conosciute non possono definire il sentimento che egli prova: “amicitia” è un termine molto generico, anche “ amor “ troppo naturale e improprio. C’è un radicalismo nel nuovo concetto di Amore che apporta Gesù e il termine che rende la radicalità del messaggio è Caritas.
Nella definizione del concetto di Amore del prossimo, proposto da Gesù, vi è anche, secondo Cacciari, un “ sapere odiare” che potrebbe sembra ad un primo impatto un paradosso, ma non lo è . Il “saper odiare” si intende quale “ deporre l’idolatria per il sé. “. Trattasi di riuscire ad uscire da se stessi , “ far esodo da sé” per realizzare quell’amore del prossimo, di cui parla Gesù.
Quindi bisogna saper essere prossimo, ci si deve approssimare, sostiene Cacciari. Il prossimo non è il tuo vicino, bisogna saper individuarlo e approssimarsi a lui. E il ” mandatum novum” che ti spinge a farti prossimo di colui che è mezzo morto e ciò richiede una grande forza interiore. In tal modo il vero cristiano si approssima a Dio, ma il prossimo non è un vago “altro” e lo riconosciamo bene nel momento in cui riusciamo noi stessi ad approssimarci a chi ha bisogno del nostro approssimarci, finanche lo straniero e il nemico.
Bisogna avvicinare l’altro che non è nel nostro spazio e farlo sentire parte di esso, un’dea del prossimo che non è velleità di assimilarlo a noi, ma con l’intento di spezzare le catene che non ci consentono di approssimarci all’altro .
Il prossimo non è la persona che ci è simpatica, ma la persona che può anche respingerci nel momento in cui ci si avvicina, e a tal riguardo si manifesta l’esigenza radicale dell’amore cristiano, che richiede a chi vuol amare Dio tale capacità di sapersi fare prossimo.
In tal modo il messaggio comunicativo intende farci comprendere appieno che siamo noi che dobbiamo sapere approssimarci nel giusto contesto del messaggio evangelico, e in coerenza con quella decisa comunicazione di Amore incondizionato ed esigente.