Salvatore Di Giacomo e il 15 maggio 1848 a Napoli

Il noto giornalista, poeta e scrittore Salvatore Di Giacomo ci offre un resoconto della giornata di resistenza rivoluzionaria del 15 maggio 1848, dopo la revoca della Costituzione da parte di Ferdinando II, lo scioglimento del Parlamento Napoletano e della Guardia Nazionale. Il famoso scrittore napoletano intende donarci un racconto degli eventi, relativi soprattutto al 15 maggio, in forma di cronaca e di aneddoti, senza negare l’intento di voler analizzare i molteplici episodi, sia di quel giorno di resistenza che quelli precedenti, pieni di entusiasmo, di festa e di partecipazione, in un’ottica di comprensione della realtà rivoluzionaria in nome della libertà e di quello che sarà il contraddittorio atteggiamento del re. A tal riguardo Renata De Lorenzo evidenzia: “ Conta tuttavia la finale scelta narrativa; in essa si risolve il sofferto tentativo di comprendere, di attribuire responsabilità, di spiegare le contraddizioni di un re e di un uomo che aveva saputo essere contemporaneamente aggressivo, sospettoso, intrigante, volgare, insensibile a lettere, scienze e arti, ma anche generoso, “ frugale, sollecito, laborioso”[…]


Con “una capatina a Toledo”, quindi, Di Giacomo ci immerge nei vari Caffè che popolavano Napoli, ad iniziare dal “Caffè sotto a Buono”, luogo di convegno degli studenti, soprattutto calabresi, pugliesi e siciliani, e il Caffè De Angelis, “ pieno di studenti tutto il giorno”, per proseguire con la descrizione  delle   scene di vita vissuta per strada. Sono, infatti, le strade, i luoghi dove si accendevano le discussioni a cui partecipavano non solo i tanti patrioti napoletani, ma una folla di personaggi vari e di tante persone venute dalle province: “Erano a Napoli nel 1847 meglio di trentamila provinciali, la maggior parte di costoro studenti o chiamati studenti soprattutto perché parlavano gli aspri dialetti delle Puglie, del Cilento, della Basilicata e delle Calabrie”. Il vocabolo che animava consisteva in “ una parola che redime una Nazione, che la rigenera… COSTITUZIONE! E questa sublime parola suona per noi amore, fratellanza, patria, libertà”. Di Giacomo non può fare a meno di riportare l’episodio del corriere di Napoli, il quale, nella sosta a Terracina, subiva le prese in giro degli abitanti del posto sull’inerzia dei napoletani. Quando il Re concesse la Costituzione, il 29 gennaio 1848, sulla spinta dell’insurrezione siciliana e della rivolta del Cilento, il corriere postale napoletano poté finalmente prendersi la sua rivincita e così ostentava finalmente una vistosa fascia tricolore ed aveva un’aria patriottica. Egli, infatti, “portava a bandoliera la fascia tricolore e di sotto al suo panciotto, dalle sue tasche profonde, perfin dal suo cappello vennero fuori esemplari delle stampe liberali che annunziavano e conclamavano l’avvenimento”.
A proposito della stampa, tanti erano i giornali di varia ispirazione patriottica ed essi sono elencati e descritti come meritano, dal Lucifero all’Omnibus, dal Riscatto Italiano al più famoso Costituzionale per continuare con il Lampo, il Mondo Vecchio e Nuovo, L’Inferno, Il Vapore e L’Arlecchino. I giornali erano le voci dei tanti patrioti di diverso orientamento, liberale, democratico, monarchico, repubblicano, i quali lottarono in quel 15 maggio 1848 per le strade di Napoli. Tra di essi Michele Viscusi, il “ Ciceruacchio napoletano” il quale si spostava da una parte all’altra della città in mezzo a dodici popolani che rappresentavano i quartieri di Napoli, comunque attento alla polizia borbonica, e tutta una serie di personaggi insieme ai patrioti tra cui risaltavano i nomi di Luigi Settembrini e Carlo Poerio. E poi le battaglie, le barricate per le strade di Napoli del giorno fatidico del 15 maggio 1848 in cui il Parlamento avrebbe dovuto giurare fedeltà alla Costituzione, con i patrioti pronti a lottare e resistere in città, attendendo il giorno, come i tre o quattro giovanotti che “disfacevano un letto e ne ammucchiavano le materasse in mezzo alla stanza, illuminata da un lume che non si vedeva”. Andavano e venivano, osservati dall’impiegato dirimpettaio e da sua moglie.

Erano le nove ore del 15 maggio. Alle tre della notte precedente Ferdinando aveva spedito a Monteoliveto, ove i deputati erano riuniti, il Piccolelli con questa ambasciata: Il giuramento prescritto dagli articoli 12 e 13 del programma del 14 maggio non avrà più luogo da parte dei deputati” La cronaca della giornata è raccontata da Salvatore Di Giacomo in maniera partecipata nella descrizione, soprattutto, degli eccessi delle guardie svizzere contro la Guardia Nazionale nel quartiere San Ferdinando, a Santa Lucia e a Toledo e nel riportare il biasimo per la plebe, il “ popolaccio”, al seguito delle guardie svizzere nelle case per saccheggiare, bruciare, derubare e dividersi il bottino.

La cronistoria puntuale delle battaglia sulle barricate, ad opera di Salvatore di Giacomo, è riassunta dalla storica Renata De Lorenzo in maniera egregia: “ Ogni barricata comporta, secondo la morfologia urbana della zona, una diversa tecnica di attacco e di lotta, ed ha i suoi eroi e i suoi episodi indimenticabili: quella di Monteoliveto, con l’assalto e l’incendio di Palazzo Gravina, quella di Largo di Carità ove combatte Saverio Altamura, in una zona dove si riunivano, nel caffè De Angelis, intellettuali, pittori. Qui muore Luigi La Vista, il poeta allievo di De Sanctis, dinanzi al vecchio padre che viene trascinato senza poter chiudere gli occhi del figlio, senza poterlo abbracciare, qui viene ucciso nel suo letto Angelo Santilli, uno dei più fervidi parlatori al popolo, che non aveva fatto fuoco sui soldati.” D’altronde, come rimarca ancora Renata De Lorenzo “il 15 maggio è l’evento centrale in cui Di Giacomo mette alla prova la sua abilità nel creare atmosfere e nel comunicare la tensione drammatica attraverso i particolari, con la testimonianza diretta della vecchia signora che allora abitava a via Chianché della Carità e aveva  a lungo atteso la notte del 14 il ritorno del marito impiegato del Regio Lotto. Affacciandosi aveva seguito la formazione notturna delle barricate, aveva visto nell’appartamento di fronte tre o quattro giovani che si preparavano con fucili al combattimento
Di Giacomo riporta una trentina di nomi dei quattrocento morti del 15 maggio, oltre a riportare i nominativi dei morti i giorni successivi del 16, 17, 18 maggio 1848. Ma la Napoli del 16 maggio, nel racconto di Salvatore Di Giacomo, è anche la Napoli dei lazzari, del nostro “ popolaccio”, come scrive Di Giacomo che non esitava a “depredare, razziare e saccheggiare”, dopo la fuga dei deputati del Parlamento Napoletano. Eppure- sottolinea Renata De Lorenzo- fra il nostro “popolaccio”, prezzolato e voltabandiera, rientrava un altro testimone diretto, il facchino ottantenne che si era opposto ai popolani che svaligiavano le case di Toledo, riferendo la sua versione in dialetto, a testimonianza degli opposti atteggiamenti di questo popolo.


La cronistoria di Di Giacomo sulla rivoluzione napoletana del 1848 ci offre una maniera originale e diversa di narrare la storia in forma di “cronache romanzate” di note giornalistiche che si trasformavano in bozzetti, piccole novelle”, ma, come aggiunge la stessa De Lorenzo, senza “  sottovalutare la percezione dell’evento rivoluzionario che l’autore offre al lettore nella sua più esatta accezione, cioè come fenomeno non scontato e prevedibile, secondo il tipo di messaggio che accentuano le ricostruzioni degli storici puri, ma destinato a trasformarsi e ad acquistare coscienza di sé giorno per giorno, senza che se ne accorgano immediatamente gli stessi protagonisti”.

Bibliografia:


Salvatore Di Giacomo- Il Quarantotto- Napoli 1902

Renata De Lorenzo- “Il quarantotto di Salvatore Di Giacomo” in Un Regno in bilico- Carocci, 2001