Il Sinodo di Mons. Gennaro Filomarino, vescovo di Calvi

Gennaro Filomarino è stato un fervido e nel contempo rigoroso vescovo della Diocesi di Calvi. Fratello del più famoso Arcivescovo di Napoli, Cardinale Ascanio Filomarino, Mons. Gennaro Filomarino, noto per il suo fervore religioso e la sua intransigenza, nacque a Napoli nel 1591 e fu vescovo della Diocesi di Calvi dal 18 dicembre 1623 fino alla morte nell’ottobre del 1650. Mons. Gennaro Filomarino aveva deciso di spostare, nell’anno 1628, la propria residenza da Calvi al casale di Pignataro, considerato più sicuro e con una posizione più centrale per le esigenze dell’intera Diocesi.

In quel tempo ogni anno si teneva un Sinodo, e Antonio Martone, da infaticabile storico, rinviene la documentazione relativa al Sinodo del 1631, comunicandoci il contenuto il cui incipit fa riferimento al momento in cui tutto il clero della Diocesi era solito riunirsi nella Cattedrale di Calvi con in primis la dichiarazione di obbedienza al Vescovo con annessa osservanza dei decreti sinodali. Segnatamente partecipavano al Sinodo “ Abbati, Arcipreti, Curati, Preti, Beneficiati, Clerici, Confraternite”. A tal riguardo Antonio Martone evidenzia che in tale periodo storico gli “ Abbati” non erano i responsabili di un’Abbazia, ma un titolo onorifico di cui si fregiava chi aveva ricevuto un beneficio ecclesiastico, mentre i “ Beneficiati” si occupavano di “ percepire i redditi connessi per dote”. In quanto ai “ Clerici” erano i seminaristi in attesa di essere ordinati sacerdoti. In tale momento di “ cammino insieme” si svolgeva la processione che aveva quale luogo di partenza la Cattedrale con la statua di San Casto e la reliquia del suo braccio. Raggiunta l’antica Cattedrale, si celebrava una Messa per poi far ritorno alla nuova.

Dopo la parte introduttiva, Antonio Martone riporta il contenuto del Sinodo, redatto per lo più in lingua italiana del Seicento, che inizia in tali termini “ Desiderando Noi d’esercitare l’ufficio di vigilante diligente et Buon Pastore sopra il nostro gregge commesso alla nostra cura e custodia, volentieri drizziamo et incliniamo l’animo nostro a quelle cose che spettano e appartengono all’aumento del culto divino et alla corretione di costumi, così di clerici, come anco dei popoli”. In seguito si rimarca come siano da rispettare i decreti sinodali del precedente vescovo, Mons. Fabio Maranta.

Mons. Gennaro Filomarino fa anche riferimento all’ Editto del 15 gennaio dello stesso anno 1631 che aveva lo scopo di richiamare la comunità cattolica sul comportamento di alcuni sacerdoti e chierici della sua Diocesi: “Et perché ci viene in notizia che li sacerdoti et clerici della nostra Diocesi meno osservanza dei nostri ordini sinodali, portano armi, giocano a carte[…]pertanto, per quanto spetta al nostro pastorale uffizio rimediare a tale inconveniente, si ha posto fare il presente, col quale ordiniamo et comandiamo che nessun sacerdote, o pur chierico di qualsivoglia dignità ardischi portar armi o tenerle in casa, come anche non giochino a carte né stiano mirando al gioco sotto pena di sospensione ipso facto a divinis”. L’unica concessione- aggiunge Antonio Martone- Mons. Filomarino la consentiva a chi andava a caccia con ” schioppetto e miccio”.

Ciò avveniva ovunque nell’Italia del Seicento con la difficoltà da parte dei vescovi di contrastare tali inconvenienti abitudini. Tuttavia il vescovo Gennaro Filomarino volle dare un segnale forte con il suo precedente” Editto”, a cui intese far riferimento anche nella documentazione del Sinodo.

Bibliografia:

Antonio Martone- Storia di Pignataro in età moderna- Il Seicento( prima metà)- Giuseppe Vozza Editore- 2013