Il ” senso di colpa” del canonico Onofrio Tataranni

Dopo la caduta della Repubblica napoletana del 1799, mentre il “ fior fiore” degli intellettuali napoletani, che ne erano stati protagonisti, era condannato al patibolo, il canonico Onofrio Tataranni, invece, riuscì a porsi in salvo, rifugiandosi a Matera dove morì il 27 marzo del 1803. Il religioso materano, filosofo e saggista, era stato l’autore di quel “Catechismo Nazionale pel Cittadino” che aveva l’intento di comunicare al popolo come gli ideali di libertà repubblicane e il messaggio contenuto nel Vangelo dovevano considerarsi connaturali. Comunicare al popolo i concetti di libertà e uguaglianza repubblicane non si mostrava agevole, per cui Eleonora Pimentel Fonseca, dalle pagine del Monitore Napoletano, aveva scritto e ribadito più volte che si usasse un linguaggio che il popolo potesse comprendere. Pertanto il canonico di Matera aveva redatto un “ Catechismo” in forma di domanda e risposta, considerata tale maniera la più efficace in termini pedagogici. In seguito alla sconfitta della Repubblica napoletana, il Tataranni decise di ritornare a Matera, sua città natale, per sfuggire alla dura repressione del restaurato governo borbonico.

Come riporta Andrea Di Consoli, nelle sue “Memorie”, con riferimento a quanto scritto nella sua Matera in data 22 febbraio 1803, Onofrio Tataranni avvertiva una sorta di tormento interiore per essersi posto in salvo nella sua città, ricordando in particolare “ la giovane faccia malinconica e fiera di Mario Pagano”.“ C’è sempre un senso di colpa- come un verme che scava le viscere- in chi ha salva la pelle essendo sopravvissuto alle tragedie della storia[…] Più mi tormenta la giovane faccia malinconica e fiera di Mario Pagano- che Dio abbia in gloria il più caro dei miei sventurati figlioli. Lui, a differenza mia, si è immolato per la libertà; al contrario io sono scappato approfittando dei tumulti, e ho trovato clemenza e rifugio qui a Matera, mia città natale. Per me la sua morte è stata come la morte di un figlio- ma confesso che la sua morte mi fa vergognare perché mi accusa senza additarmi di un’insufficienza che vivo come un’umiliazione”.

Don Onofrio Tataranni continua con il far riferimento al suo “Catechismo”, rimarcando nel contempo come non sia stato un combattente per le sue debolezze per le quali “ nelle notti gelide” prova sentimenti di “ rimorsi profondi”. Convinto che Re Ferdinando si sarebbe vendicato, avendo avuto con lui rapporti di conoscenza prima della Repubblica, i suoi sentimenti sono rivolti a quei “ valenti ragazzi” della rivoluzione, al cui fianco avrebbe dovuto essere, pur sicuro che nessuno lo avrebbe ricordato quale traditore.

Il desiderio che infine esprime è di rivedere, dopo il suo decesso, i martiri del ’99 intenti ad accoglierlo con un sorriso, primariamente Mario Pagano, il cui abbraccio gli “darebbe pace” e lo “ricompenserebbe di tanti tormenti”.

Bibliografia:

Andrea Di Consoli “ Le ultime memorie di don Onofrio Tataranni prima di morire” in Segreti d’Autore- Ventisei racconti per “ Il Mattino” dalle carte dell’Archivio Storico del Banco di Napoli- Editoriale Scientifica, 2016.