Nelle Memorie storiche di Pignataro Maggiore, l’autore tratta anche della storia dell’Antica Cales. Tra gli eventi rilevanti, che non attengono specificamente alla storia di Pignataro Maggiore, nella parte II è presente un breve riferimento alla dura vendetta dei Romani contro i senatori capuani decapitati a Teano e Cales che reca quale titolo “ Il supplizio dei Caleni”. Il Borrelli intese rimarcare come la tradizione orale, a distanza di tantissimi secoli, riuscì in tal caso a deformare considerevolmente la verità storica degli eventi a tal punto da condurre alla consolidata convinzione che “sull’antica via Latina migliaia di abitanti dell’antica Cales fossero stati giustiziati per crocifissione”.
In effetti, dopo la vittoria dei Cartaginesi a Canne il 2 agosto 216 a.C., la città di Capua, un tempo alleata di Roma, come altre città stato, si era schierata con Cartagine. Data l’importanza della città, i Romani accusarono duramente la città di Capua per tale defezione, che aveva condotto sulle sue posizioni anche Atella, Calatia, Trebula Balliense e Telesia. Caiatia, Teano, Cales e Nola erano rimaste città fedeli ai Romani.
Approfittando della presenza di Annibale in Apulia, dopo aver ripreso il controllo di Casilino, difesa da una guarnigione di 2000 Campani e 700 Cartaginesi, i Romani, con sei legioni, si diressero contro Capua, riconquistandola nel 212 a.C. Le operazioni di assedio furono dirette dal console Quinto Fulvio, stanziatosi tra Cales e Casilino in maniera da controllare sia il ponte sul Volturno che la via Latina, e dal console Appio Claudio, accampato a sud-ovest di Capua, nei pressi di Villa Literno. Annibale apprese dell’assedio di Capua mentre si trovava a Taranto, ma poté muoversi in suo aiuto solo nella primavera dell’anno successivo. Attraversando il Volturno, compì una devastazione del territorio di Cales, ma né la forza né l’astuzia gli consentirono questa volta di vincere.
La punizione inflitta dai Romani alla ribelle Capua fu estremamente dura e sanguinosa. Venne soppressa, in primo luogo, ogni forma di costituzione municipale e la maggior parte degli abitanti fu confinata in località più o meno lontane, in relazione al ruolo avuto nella ribellione. A Capua rimasero solo contadini e liberti per ridurla a territorio di esclusiva raccolta e commercio di prodotti agricoli. La vendetta inflitta ai senatori fu terribile e implacabile, tanto che, da quanto riporta Tito Livio, il nobile Vibio Virro con altri 27 senatori preferirono darsi la morte con il veleno nella tragica vigilia della resa, piuttosto che cadere vivi nelle mani dei Romani. Gli altri 53 senatori capuani furono decapitati a Teano e Cales. Le parole di Tito Livio trasmettono un pathos avvincente nel narrare con dovizia di particolari le decapitazioni dei 53 senatori prigionieri, di cui 28 furono prima giustiziati a Teano e successivamente 25 nel Foro di Cales.
In relazione a Cales, i venticinque senatori capuani furono incatenati nel Foro e frustrati, ma, poco prima della decapitazione, davanti a una folla numerosa, “giunse in gran fretta un cavaliere da Roma, e consegnò a Fulvio una lettera del pretore Caio Calpurnio e un decreto del Senato”. Si pensò fossero giunti dei contrordini da Roma e che la questione potesse essere rinviata al Senato, ma “Fulvio Flacco, cacciatosi in seno senza scioglierlo il plico ricevuto, ordinò di far eseguire la legge. Così anche quelli che erano a Cales furono suppliziati”. Intuito ciò, Taurea Vibellio, capuano, chiamò per nome Fulvio e gli si fece avanti, dicendo: “Anche me fai uccidere, sì che tu possa vantare di aver ucciso un uomo ben più valoroso di te”. Fulvio Flacco rispose di trovarsi di fronte un uomo che aveva perso la ragione e allora Taurea Vibellio gridò: “Dal momento che, dopo aver perduto la patria e i parenti e gli amici, e dopo che io stesso con le mie mani ho ucciso mia moglie e i miei figli perché non patissero oltraggio, non mi è data la facoltà di morire con codesti miei cittadini, si cerchi nel coraggio la liberazione da questa vita odiosa.” Detto questo si suicidò con un “ ferro che aveva nascosto nella veste”.
Come riferisce lo stesso Tito Livio, altri sostennero che “Flacco lesse il decreto senatorio prima del supplizio, ma, poiché nel decreto si aggiungeva che, se gli pareva opportuno, avrebbe potuto rimettere tutta la faccenda al Senato, egli si sentì in potere di fare ciò che riteneva più utile allo Stato”. Così furono messi a morte i ribelli e notabili senatori di Capua e “quasi trecento furono gettati in carcere; altri, dati in custodia a città di soci latini, perirono per vari accidenti; un altro gran numero di cittadini furono venduti come schiavi”
Bibliografia:
Tito Livio- Ab Urbe condita- Libro XXVI- 14, 15, 16
Giuseppe Carcaiso- Storia dell’antica Cales- Acerra- 1980