La peste del 1656 nel casale di Pignataro

L’ immagine di copertina del volume di Giampiero Di Marco dal titolo “Terra di Lavoro nell’anno della peste” è la riproduzione di un quadro che fu donato dall’autore Cesare Coppola alla nuova Chiesa di Santa Maria della Misericordia di Pignataro Maggiore nel 1772, quindi a distanza di oltre un secolo dalla peste del 1656. In effetti, ciò che sorprende è che l’autore, oltre agli angeli e San Rocco, avrebbe inteso rappresentare nel dipinto Pompeo De Vita, Luisa Boiano e Margarita De Vita, quest’ultima una bambina di appena 8 mesi, ossia le tre persone che l’Arciprete don Giovanni Todesco elenca nel registro parrocchiale del 1656, in quanto decedute per peste, oltre ad alcuni familiari. Infatti, nella parte superiore, a sinistra, sono rappresentati due volti di angioletti, mentre a destra una figura di angelo con spada; più in basso campeggia la figura di San Rocco con l’inseparabile cane. Il Santo si erge a difesa del popolo all’entrata del paese. Ai due lati dell’arco che si apre sotto una sorta di ponte, due gruppi di persone, tra cui  si ritiene che siano ritratte le tre persone indicate nel registro parrocchiale del 1656 quali vittime della peste: Pompeo De Vita, sua moglie Luisa Boiano e la bambina Margarita De Vita, nipote di Pompeo e Luisa. Negli anni Sessanta del secolo XX, la Soprintendenza alle Gallerie di Napoli redasse un catalogo generale sulla Chiesa di Santa Misericordia e sugli oggetti artistici in essa contenuti; delle 19 schede redatte, la quinta riguarda il quadro della peste, e al n. 10 della descrizione, riportante “ Notizie storico-critiche” è scritto testualmente: “ il dipinto ricorda la peste, avvenuta a Pignataro nel 1656. Si può pensare che il donatore, dopo molti anni abbia voluto rievocare quel lontano fatto che apparve un vero e proprio miracolo e rimane attestato sul registro dei morti di quell’anno”. Al numero precedente della scheda è riportata l’iscrizione VID CESAR COPPOLA DONO DEDIT MDCCLXXII. In effetti, il donatore Cesare Coppola, dottore dell’uno e dell’altro diritto, probabilmente un cittadino napoletano chiamato dal vescovo Capece Zurlo a far parte della sua corte vescovile, si propose di far dono alla nuova Chiesa di Santa Misericordia del dipinto, dato che, come riportava il registro parrocchiale, vi erano state solo tre vittime della peste nel casale di Pignataro. Giampiero Di Marco, nel testo dedicato alla peste in Terra di Lavoro, fa riferimento al registro parrocchiale dell’Arciprete don Giovanni Todesco e conseguentemente indica solo tre deceduti per peste nel casale di Pignataro. D’altronde, Terra di Lavoro fu una delle province meno colpite, ed è da notare che alcuni storici di Terra di Lavoro non danno rilievo e importanza all’avvenimento. Per quanto concerne Pignataro, non vi è alcuna menzione della peste nelle ” Memorie Storiche” di Nicola Borrelli.

Da una ricerca di Antonio Martone, che costituisce parte integrante del secondo volume sul “Seicento pignatarese”, in relazione a Pignataro e alla Diocesi di Calvi emerge, invece, che l’Ariciprete don Giovanni Todesco “rimase al suo posto, ma non riuscì a registrare i deceduti per peste, la quale quasi dimezzò la popolazione del casale di Pignataro e della Diocesi”.

Per giungere a tale convinzione e conclusione Antonio Martone confronta i dati riferiti dall’allora vescovo Francesco Maria Falcucci nelle Relazioni ad limina del 1654 e 1659, ossia dei due anni precedenti la peste e dei tre anni successivi ad essa. Dalla Relatione ad liminina del 1654 si apprende che l’intera Diocesi di Calvi contava circa 3300 abitanti. Pignataro costituiva il centro più popolato con 1060 “anime” nonché centro centro della Diocesi dagli anni venti del Seicento. Infatti il vescovo Gennaro Filomarino lo aveva scelto quale sede della sua abitazione, abbandonando definitivamente il Palazzo Vescovile di Calvi, sito accanto alla Cattedrale, per stabilirsi a Pignataro. Nella Relazione ad limina del 1659, il vescovo Falcucci riferisce non solo della desolazione della città di Calvi, ma evidenzia che ” la Diocesi, per la contagiosa calamità, si temette che sarebbe rimasta abbandonata dalla gente, mentre il morbo privò della vita quasi 1500 persone”, poco meno della metà della popolazione che l’intera Diocesi di Calvi contava nel 1654. Ad avvalorare che la perdita di quasi metà della popolazione fosse causata alla peste del 1656, il Vescovo scrive in latino di aver visitato la Diocesi ” quando cominciò a farsi sentire la violenza del morbo, affinché i cadaveri non fossero privati della sepoltura ecclesiastica, raccomandando ai Parroci che ciascuno adempiesse, con diligenza e pietà, al proprio dovere”. La conclusione. a cui lo storico locale Martone perviene, si relazione anche alla considerazione che, se a Pignataro i morti per peste fossero stati solo tre rispetto ai quasi 1500 dell’intera popolazione della Diocesi, “allora si dovrebbe ammettere che nella Diocesi di Calvi i superstiti all’immane flagello fossero soltanto pignataresi, dal momento che su circa 3300 abitanti ne erano morti circa 1500, contandone la solo Pignataro più di 1000”. Insomma le altre 10 parrocchie, di cui si componeva la Diocesi, sarebbero rimaste o totalmente disabitate o ridotte ad un numero scarsissimo di persone. “Ciò contrasta- aggiunge Antonio Martone- con la presenza dei fuochi, ossia nuclei familiari registrati a Pignataro nella numerazione del 1658, che contava dai 544 ai 680 abitanti, rispetto ai 1060 di solo due anni prima della peste”. Inoltre, si rileva la scomparsa di alcuni Casati come conseguenza della peste.  Pertanto- conclude lo storico locale- “ il registro dei morti ci dice che “temporis peste” morirono tre persone: De Vita, la moglie e la nipotina di appena 8 mesi. In realtà a morire di peste furono parecchi, circa la metà della popolazione di Pignataro”.