Nello Rosselli e la valenza del sacrificio di Carlo Pisacane

4.1.2

Nel 1932 Nello Rosselli pubblicava il saggio ” Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano“, offrendo il suo contributo alla storiografia sul sacrificio di Carlo Pisacane, di cui anche in tali anni si dibatteva con studi che destavano attenzione ed interesse. Nello Rosselli ripercorre con la sua monografia appassionata e documentata i vari e cruciali momenti storici per rimarcare che Pisacane costituiva il simbolo del patriota romantico tormentato,  completamento dedito all’esempio del sacrificio estremo,  coraggioso ma intriso di speranze mal riposte. Pertanto la spedizione di Sapri nei vari momenti si disvelerà in tutta la sua illusorietà rispetto a  una realtà rivoluzionaria repubblicana inesistente in tale momento storico.

Nello Rosselli ricorda che è pur vero che  “ i rivoluzionari di Napoli avevano costituito, sin dal 1853, un Comitato insurrezionale repubblicano delegato a dirigere un moto nelle province (dove si erano fondate numerose sezioni) e a corrispondere con gli emigrati repubblicani a Malta, a Genova, a Londra. Nicola Mignogna, Teodoro Pateras, Giuseppe Fanelli, Luigi Dragone e qualche altro n’erano i più cospicui esponenti”.

Tali patrioti repubblicani-rimarca ancora Rosselli- erano pervenuti ad una conclusione che il Paese fosse giunto ad un punto di una  “ soddisfacente” preparazione di azione diretta, e dunque solenni parole, che, pronunciate o meno in piena buona fede, ebbero una un’influenza su un patriota temerario e generoso, qual era  Carlo Pisacane.

Il primo esplicito riferimento al Sud quale centro della spedizione si ritrova in una lettera del 1855, indirizzata al rifugiato politico Agostino Plutino in cui Pisacane testualmente scriveva: “ Io potrò convincermi che il nostro caso è disperato…[…] Il moto noi l’accetteremo  e l’aiuteremo ovunque sorgerà, ma lo desideriamo nel Mezzogiorno”.

Pertanto, Carlo Pisacane, dall’estate del 1856 “ non ebbe più un giorno, non ebbe più  un’ora che non fosse dedicata a concretare il progetto di spedizione, a perfezionarne la tecnica dell’esecuzione, a studiar nuove forme di propaganda nel Sud” . Aveva altresì auspicato, nonostante i dissidi precedenti, che la spedizione fosse capeggiata da Giuseppe Garibaldi, data la sua decisa maggior popolarità. “ Può stupire- evidenzia Rosselli- tale repentino accesso di garibaldinismo da parte di Pisacane”, solo ricordando quanto espresso in maniera chiara nei “ Saggi”, ma in lui era dominante il pensiero della spedizione. A tal riguardo Nello Rosselli riporta i vari incontri che nel 1857 si ebbero per convincere Garibaldi a guidare la spedizione nel Sud. “ Il giorno 12 maggio- scrive  Rosselli- Mazzini si abbocca con Pisacane; poi quasi tutte le notti sono convegni segreti e di decisiva importanza. Pochi giorni dopo, ecco a Genova Jessie White.[…]. L’arrivo della corrispondente inglese in Italia costituisce l’ultimo tentativo di far affidamento sulla cooperazione attiva di Garibaldi in un incontro che si tenne a Torino alla fine di maggio ’57. Oltre a Pisacane, Garibaldi e la stessa White, erano presenti Enrico Cosenz, Giovanni Nicotera, Giovambattista Falcone, Rosolino Pilo. Si discusse dell’insurrezione nel Cilento e dell’uomo che avrebbe dovuto guidarla. Garibaldi, acclamato da tutti, declinò l’invito in quanto ritenne privo di esito positivo il movimento insurrezionale proposto. D’altronde, già nel febbraio del ’57 Nello Rosselli evidenzia quella che era stata la  netta posizione di  Garibaldi: “ Se io fossi sicuro d’aver una piccola probabilità di successo, dubitereste voi che io mi lancerei con gioia febbrile al conseguimento di quell’idea di tutta la vita, abbenché mi si presentasse, per compenso, il martirio più atroce?”

 Nello Rosselli comunica  le varie tappe di una “spedizione” che da Sapri fino al tragico epilogo di Sanza avrà ben pochi momenti di esaltazione e  decisamente maggiori esperienze di disillusione.

Imbarcatosi sul postale “ il Cagliari” il 25 giugno, due giorni prima della partenza Pisacane aveva scritto l’ultima lettera al Comitato Napoletano che la ricevette  due giorni dopo solo quando, “con venti giovanotti di cuore egli era riuscito, sì, d’impadronirsi di Ponza” e liberare i detenuti.    “Ora con trecento uomini, di cui i relegati politici erano in numero decisamente inferiori” aveva al suo comando non già volontari autentici, che sperava tuttavia con l’impeto di uomo e teorico di guerra, conquistare alla  nobile causa della rivoluzione politica e sociale e rendere, pertanto, i detenuti comuni liberati a Ponza  “ una banda disciplinata, combattiva e,  chi sa, valorosa”. Al fine di comunicare fiducia a tali  uomini, Pisacane li arringa  come se fossero esperti veterani di guerra: “Figliuoli, noi siamo stati ventuno individui che vi abbiamo liberati dall’isola, adesso voi dovete liberare il Regno”. Rosselli pone l’accento  sulla prima delusione di Pisacane  che , giunto a Sapri e, pur avendola occupata, non trova il paese “ gremito di una popolazione pronta ad accoglierlo con entusiasmo”. Quando si recò dal barone liberale Giovanni Galotti, costui gli rivelava con accenti di protesta che “ di preparativi rivoluzionari compiuti nella regione non si era mai inteso parlare”. Proseguendo verso Torraca ci  rendeva sempre più conto che “ gli stessi liberali del paese erano ben noti alla polizia e attentamente sorvegliati”. Rosselli evidenzia altresì, senza accenti di disappunto, che  Pisacane e i suoi uomini  “credevano di  essere attesi nelle vicinanze di Sala da 2000 correligionari ed altri 500 in Padula”, ma ciò non corrispondeva alla realtà, per cui Rosselli prosegue testualmente  con forti accenti di  rammarico:   Possibile che tutto questo, tutto, tutto, tutto fosse millanteria di loquaci capi popolo di provincia? Ma gli organizzatori della spedizione non avevano tenuto conto di una circostanza di capitale importanza: e cioè che in quel periodo dell’anno, in quella regione, gran parte della parte della popolazione maschile soleva emigrar nelle puglie per la mietitura del grano”. Solo a Casalnuovo, a mezza strada fra il Fortino e Padula si ebbe la soddisfazione di trovare il paese in pieno tumulto con persone che attendevano i trecento rivoltosi in maniera festante. Tuttavia, quando si lasciò il paese, non vi fu uno dei cittadini disponibile a imbracciare un fucile e porsi al seguito della “spedizione”. L’epilogo tragico per Pisacane e i suoi uomini era pertanto vicino. Abbandonata Padula, Pisacane si ritrovava con soli cento uomini sofferenti e stremati  nei boschi del Salernitano, alla ricerca ancora  di un possibile ultimo e temerario tentativo di conquistare pace e libertà. Sanza non era lontana, ma in tale luogo li attendevano “una piccola  squadra di undici urbani difensori del regime borbonico, la cui audacia fu conseguentemente spiegata allorché nel paese di Sanza le campane suonavano a stormo; il parroco, d’accordo col comandante le guardie urbane, radunava a precipizio la gente. Una torma di briganti- egli si pose a gridare-  calava su Sanza per spogliarvi le case, oltraggiare le donne, attaccare il colera

 E il “popolo”, scrive Rosselli, quel popolo che Carlo Pisacane voleva redimere, emancipare, e per il quale aveva affrontato le pene di quel tremendo calvario, avendo creduto che fosse davvero un brigante, quando era già ferito, gli fu “ sul  capo con roncole, falci, spiedi, pronti ad abbatterlo come belva famelica […] impugnò la sua pistola, e con un colpo si sottrasse allo scempio”. Falcone, il più giovane, che gli era accanto e che a malincuore aveva obbedito al suo ordine di non resistenza, vistolo cadere, si uccise a sua volta[…]

Dopo tale tragica fine il movimento repubblicano dovette subire ulteriori e accese accuse da parte dei patrioti liberali moderati con  principale accusato Giuseppe Mazzini. Luigi Settembrini comunicava alla moglie di Pisacane il suo dolore, maledicendo “ quegli scellerati che sotto specie di libertà, standosi lontano, mandano giovani generosi a morire, anzi ad essere macellati[…]” Silvio Spaventa biasimava “ il colpo che ci fa perdere il frutto di dieci anni di persecuzioni sofferte e il vantaggio d’una situazione che si rendeva ogni giorno più difficile pel governo. Pazienza!

Bisogna, infine, evidenziare e rimarcare che, tramite la sua disamina del totale insuccesso della spedizione, Nello Rosselli, pur riconoscendo il fallimento e  comunicandolo con quei   toni di disappunto che emergono sia a causa di   una mancata organizzazione  degli ambienti rivoluzionari repubblicani che a causa di una certa avventatezza della “Spedizione”, tuttavia   conclude il suo saggio,  evidenziando il   sacrificio  dell’eroe idealista,   precursore consapevole del   sacrificio e pertanto dedito a quella sorta di laico martirio il cui  intento era di   costituire un esempio da additare ai posteri per continuare la lotta.

Sono al riguardo ampiamente esemplificative  le parole con cui  termina il suo saggio: “ Il viandante, nel varcare il torrente, deve gettare pietre su altre per poter porre il suo piede sicuro sulle ultime che affiorano, perché sa che quelle scomparse nel gorgo sosterranno il suo peso. Pisacane, anche lui, pareva sparito nel nulla. Ma sulla sua vita, sulla sua morte poteva posare e posa uno dei piloni granitici dell’edificio italiano”.